Martin Turk, il ragazzo che divorava fumetti a Barcola, è un regista che ha trovato l’amore sul set

Un immaginario coltivato fra Dylan Dog e Nathan Never. Poi i film visti alla Cappella Underground. E alla fine l’Accademia di teatro, radio e cinema di Lubiana, la città dove vive e fa progetti
Martin Turk
Martin Turk

Il ragazzo che divorava fumetti e guardava film alla Cappella Underground è diventato un regista. Perché Martin Turk, 41 anni, ora nelle sale slovene con “Ne pozabi dihati” (“Non dimenticarti di respirare”), è nato a Trieste. «Per la precisione, a Barcola», dice orgogliosamente. «E infatti sono molto legato a questo tratto di mare. I miei più bei ricordi? Raccogliere le vongole, nell’acqua bassa subito dopo la pineta: sì, quand’ero piccolo ancora si poteva. Vongole che poi finivano in un bel piatto di pasta: ero e rimango goloso. Ma amavo molto anche l’angolo del porto dove arrivavano ogni giorno, a vendere, i pescatori».

Anche se la “sua” Barcola è quella in alto: «I miei genitori abitano nella stessa via di Boris Pahor», dice. E quindi anche sapori del Carso: asparagi selvatici da raccogliere in primavera. L’esplorazione di Trieste-città arriva più tardi, con due passioni che gli segneranno la vita: «I fumetti: sono cresciuto leggendo Dylan Dog e Nathan Never. C’era un fantastico negozio in Cittavecchia, a Tor Cucherna, dove andavo a cercare gli albi che mi mancavano, a curiosare e comprare. E l’Arco di Riccardo rimane una delle mie zone di Trieste preferite. Qui ho cominciato le mie sperimentazioni, quando ho comprato la mia prima videocamera, una Hi 8 digitale, piccola e maneggevole».

Dai fumetti, al cinema. «All’inizio, film horror, soprattutto. Ancora oggi la mia trilogia preferita è quella di Romero: indimenticabile il suo “La notte dei morti viventi”, del 1968». Un film, quello di George A. Romero, che è diventato un vero e proprio cult, e ha incassato 18 milioni di dollari in tutto il mondo. «Poi, grazie a un’insegnante che ci portò a vedere “Prima della pioggia” di Milcho Manchevski e “Underground” di Kusturica, due capolavori del cinema balcanico, ho scoperto un altro universo: quello del cinema d’autore, del cinema d’essai. Comprai una copia del Mereghetti (il dizionario enciclopedico di cinema scritto ogni anno dal giornalista Paolo Mereghetti, e pubblicato da Baldini Castoldi, ndr), e pian piano sottolineavo tutti i film con tre o quattro stellette. Leggevo la trama, e poi andavo alla Cappella Underground a vederli: allora erano in videocassetta». Un’educazione cinematografica e sentimentale pre-Internet, pre Netflix, pre-streaming… «Ma non c’era solo Cappella Underground, che resiste dal 1968. C’erano altre sale cinematografiche piccole, di nicchia, ora chiuse, come Alcione e Sala Azzurra. E io andavo anche due, tre volte alla settimana. Da solo. Mi piaceva tantissimo».

Anni di formazione e di scoperta, nella sala buia. Che registi ha incontrato, da chi è stato influenzato? «Lynch e Cronenberg, soprattutto. Ma il film che ho visto più volte nella mia vita è “Il ritorno” di Andrej Zvyagincev, l’attore e regista russo che nel 2003, con questa pellicola, ha vinto il Leone d’Oro a Venezia». Un film girato in paesaggi bellissimi, tra il Lago Ladoga e il Golfo di Finlandia. La storia, però, è cupa. Due fratelli cresciuti senza il padre, che torna all’improvviso. E li porta con sé, per un viaggio, a pescare. Giorni insieme che potrebbero essere di riconciliazione ma che diventano complicati, tragici. La pesantezza delle relazioni familiari che, in qualche modo, torna anche in uno dei primi film di Turk, “Nahrani me z besedami” (“Sfamami di parole”, del 2012). Anche qui un padre e un figlio, insieme alla ricerca del fratello più grande, che ha fatto perdere le tracce di sé. Con alcune scene girate a Trieste: «Al Mercato coperto degli anni Trenta, uno degli edifici più suggestivi della città: peccato che sia così trascurato e abbandonato».

Il mestiere di regista però Martin l’ha imparato a Lubiana. «In realtà ho cominciato a studiare a Trieste, all’Università: avevo scelto Storia del cinema. Ma poi ho capito che la teoria non mi bastava, e nel ’99 ho fatto l’esame d’ammissione alla Agrft, l’Accademia di teatro, radio, film e televisione di Lubiana». Cinque anni di accademia. E poi arrivano i primi cortometraggi, i primi film, i premi. «E un docu-film che mi sta molto a cuore: “Doberdob”, ispirato al libro di Prežihov Voranc. Un romanzo di guerra, che lui scrisse – e riscrisse, per tre volte, nell’arco di dieci anni – dopo la fine della prima guerra mondiale. Un romanzo che è nelle case di tutte le famiglie slovene di Trieste che conosco».

Sul set Martin ha anche trovato l’amore: Ida Weiss, poi diventata moglie, nonché produttrice dei suoi film. Un bel colpo. Ride: «Sì, ci siamo conosciuti su un set, quello del film che stava girando sua sorella Maja, “Installazione d’amore”. Io ero l’assistente alla regia, lei la produttrice». E il set fu galeotto. Adesso Martin vive a Lubiana: con Ida, e i suoi tre figli. «Sei, otto e undici anni, più un cane: tutti maschi», scherza. «Abitiamo davanti a Kino Siška. L’ex cinema ora spazio per concerti, perfetto per me che sono cresciuto a rock e heavy metal, e da ragazzo andavo appena potevo al Rototom di Spilimbergo. Anche se adesso, con tre bambini piccoli, è un po’ più difficile organizzarsi una serata libera».

Kino Siška è un “centro di cultura urbana”: un bell’esempio di “rigenerazione” di un edificio dell’ex Yugoslavia. L’architetto, Božidar Gvardjančič, lo costruì nel 1961 come centro municipale del quartiere periferico di Siška: comprendeva non solo un cinema, ma un ufficio postale, una scuola materna, un dormitorio per operai. Ora è recuperato, ristrutturato (con i soldi del Comune), e “vivo”, affollatissimo soprattutto per i concerti a cui arrivano molti giovani triestini, con gruppi e nomi internazionali… Infine, c’è un altro cinema che fa parte della geografia lubianese di Turk: Kinodvor, costruito nel 1923 in stile tardo art nouveau, poi amorevolmente restaurato. Tutto velluti rossi e palchi, ora ha un’ottima programmazione con film in lingua originale dal tutto il mondo, eventi, prime, una piccola libreria e un bar. Un piccolo grande spazio dove si respira cinema.

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