Mario Cerne, custode della libreria di Umberto Saba e del suo futuro
in due volumi sulla Dalmazia. E uno misteriosamente scomparve
TRIESTE Mario Cerne è burbero, Mario Cerne è amabile, Mario Cerne è spiritoso, Mario Cerne è insopportabile, e così via. Mario ha tutte le qualità che gli vengono attribuite, proprietario della libreria che fu di Umberto Saba, attira in egual misura le lodi degli amici e le critiche dei detrattori. Molto noto in città, gestisce il rifugio del poeta con il proponimento di suscitare l’interesse delle istituzioni. In libreria riceve amici, scolaresche e i numerosi turisti in visita alla città, sulle tracce di Saba. Se non sopporta qualcuno non ne fa mistero, lo stesso capita, più spesso e con maggior soddisfazione, per chi stima. Mario sembra aver ereditato il lato affabile dal papà Carlo assieme a quello arcigno di Saba. La libreria si trova in via San Nicolò e conserva l’iscrizione originale e la struttura interna. Se la saracinesca è alzata e la porta chiusa, andate con discrezione nel bar di fronte, troverete là Mario Cerne, così lo conoscerete al banco, invece che in bottega.
Umberto Saba è uno dei maggiori poeti italiani del ‘900, amatissimo in tutto il mondo, meno amato in città, come aveva previsto nell’epigrafe che si era scritta: “Parlavo vivo a un popolo di morti - morto alloro rifiuto e chiedo oblio”. L’oblio fu evitato grazie all’amico Bruno Pincherle (politico, pediatra, letterato e collezionista di libri di pregio), che dopo la morte del poeta propose in consiglio comunale di dedicargli una via. All’inizio di via San Nicolò si trova una statua opera di Nino Spagnoli. Il poeta è ritratto ad altezza d’uomo, mentre cammina verso la Libreria, con il bastone e l’inseparabile pipa. Questi accessori sono oggetto da anni di curiose sparizioni, lo stesso Mario ha fornito un nuovo bastone (dato con orgoglio, dalla vicina drogheria Toso) ma non è durato. Saba bronzeo dovrà rassegnarsi a non avere né pipa né bastone.
Il poeta
Saba, pseudonimo usato per disfarsi del cognome del padre, Poli, che lo aveva abbandonato prima della nascita, non era certo di carattere affabile e la “scontrosa grazia” era ben distinta in libreria tra il poeta e il suo amabile collaboratore Carletto, poi Carlo, padre di Mario. Quando decise di rilevare la libreria, Saba lavorava al Cine Ideal, poi Italia, situato nella vicina via Dante, nel palazzo della RAS, oggi trasformato in hotel di lusso. Si improvvisò libraio, autodidatta ma certamente già amante dei libri come dimostra il suo primo catalogo del ’23, già ben fatto e con descrizioni minuziose.
Il numero di studi e approfondimenti sull’intera opera del poeta è altissimo. Come spesso capita con i grandi, è stato anche oggetto di opere più vicine al gossip che allo studio letterario, con lo spiccato gusto per il torbido di molti scritti anche sui media. Recentemente l’attenzione è stata focalizzata sui rapporti tra Saba, le sue commesse, i suoi pupilli e le rivelazioni al proprio medico negli ultimi periodi di vita del poeta. Sorprende l’amplificazione della evidente seppur involontaria scorrettezza professionale del suo medico, morto improvvisamente come capita. Saba, in fine vita, gli ha fatto confessioni che il medico non ha secretato. Confessioni ora pubblicate e analizzate da ricercatori digiuni sia di etica medica che di clinica medica. Utilizzare lettere assai poco attendibili perché scritte in condizione di debolezza, in ospizio, in grave depressione, imbottito di farmaci, scritte al proprio medico con la richiesta di riservatezza, denota un certo voyeurismo. Molto meglio occuparsi delle sue poesie. Splendide e profonde.
I clienti celebri
Mario Cerne entrò in libreria, a fianco del padre Carlo, subito dopo il servizio militare nel ’67. Imparò il mestiere dal papà che non gli diede certo lezioni. Carlo stava preferibilmente nel retrobottega a preparare le schede dei cataloghi, vanto della libreria e Mario doveva sbrigarsela al banco, chiedendo quando gli sembrava il caso e osservando quello che faceva il papà, rubando con gli occhi. Così come aveva fatto Carlo con Saba da quando era stato assunto in libreria a 17 anni, quasi per caso da Saba. Svilupparono presto una sintonia professionale e umana, un rapporto padre-figlio fatto di affetto e anche contrasti. Carlo è stato il perfetto collaboratore e successore di Saba. Vero triestino, amabile e intelligente, aveva acquisito presto la stima di tutti. Con la sua presenza la libreria si caratterizzò anche come un luogo di ritrovo, riservato e accogliente. Non era raro che gli amici si fermassero per un caffè.
Ricordiamo due dei clienti più assidui. Cesare Pagnini, podestà dal ‘43 al ’45 e Bruno Pincherle, politico letterato collezionista e pediatra. Fra i due c’era incompatibilità politica religiosa e sostanziale. Incrociandosi in libreria spesso uno si spostava in altro spazio, come a nascondersi, ma teatralmente. Tuttavia penso che si apprezzassero per la comune passione per la cultura, non era raro che ci fosse passaggio di libri da uno all’altro. Quando uno dei due cercava un libro che sapeva possedere l’altro, ne parlava con Carlo, Carlo registrava, ne chiedeva il prestito e lo passava al “nemico”. Funzionava al punto che era uno dei rarissimi casi in cui un libro prestato ritornava al proprietario. Quando Carlo ebbe una piccola disavventura giudiziaria per causa di un incauto acquisto fu Pagnini a occuparsi della sua difesa.
Pincherle, molto legato a Saba, era molto amato dai suoi pazienti e amici e spesso non si faceva pagare le visite. A volte perché era evidente che i clienti non ne avevano la possibilità. Capitava che chiedesse onorari alti che comprendessero anche le visite gratuite ai più poveri e lo dichiarava. A Natale erano numerosi i triestini della ricca borghesia che si recavano in libreria da Saba per acquistare un regalo, saputo della sua passione, cercavano tutti libri di Stendhal. Capitò una volta che Saba non ne avesse e chiedesse a Bruno Pincherle: “Dammi un pochi dei tuoi, li vendo, ti ritornano come regali e poi prendi quello che vuoi”.
Dopo un Natale Bruno passò in libreria a raccontare a Saba: “Te se ricordi quel Rosso e il Nero, numerà, raro che te me gavevi trovà a Firenze, ben quel che te ghe lo ga vendù ghe ga assai piasso, el se lo ga tignù e el me ga mandà una cassa de liquori, che no bevo!”.
In un altro episodio, in giro per l’Italia, Saba scovò un raro esemplare di Stendhal, che sapeva mancare alla collezione dell’amico Bruno. Avvisatolo telefonicamente dell’acquisto, al ritorno a Trieste trovò Pincherle ad attenderlo in stazione: “Dame el libro”. Non sarebbe riuscito ad aspettare il mattino. Saba e Pincherle, andavano d’accordo tanto che il poeta ebbe a dire dell’amico: “L’unico che a Trieste capissi qualcossa, no’ tuto!”.
I furti
Si sa, nelle librerie i furti sono compresi nel bilancio, capita. Lo stesso Mario ne ricorda alcuni imprevedibili. Suo padre aveva acquistato una importante opera in due volumi sul litorale della Dalmazia. Bella, rilegata con gusto e, soprattutto, illustrata. Un cliente, noto professionista, l’aveva ammirata e apprezzata, ma senza passare all’acquisto. Passato il tempo i volumi erano rimasti invenduti, merce diventata difficile, finché si era persa traccia in libreria di uno dei due, non più a scaffale. Il noto professionista aveva poi acquistato da Carlo l’altro volume superstite, ad un prezzo a quel punto, scontato, perché l’opera non era completa. Alla morte del professionista gli eredi, come capita spesso, poco interessati ai libri contattarono Carlo che acquistò in blocco la biblioteca, dove ritrovò anche l’opera sulla Dalmazia, completa, due volumi, con tanto di sigla della libreria!
E non è sempre facile per i librari gestire i casi di furto. Racconta Mario del titolare della Libreria Cappelli di Corso Italia, negli anni ’60 un punto di riferimento in città: uno dei suoi clienti, un avvocato molto noto, era sospettato di far scivolare qualche copia all’interno di un ampio impermeabile. A disagio, aveva chiesto al suo commesso dell’epoca, il Zorzon poi anima della libreria Svevo, di tenerlo d’occhio. Un giorno, certo di non essere visto, l’avvocato infilò un volume sotto il cappotto e il commesso, attento, ma non visibile, segnalò al titolare l’evento atteso. Al momento di uscire, l’avvocato salutò come al solito con un inchino e il titolare rispose, aggiungendo: “Il libro lo metto in conto, vero avvocato?”. Paonazzo, accennò un sì con il capo. Non si vide più.
Infine, ci sono i furti impropri, di immagini! Molti anni fa Mario aveva visto un articolo sulla libreria accompagnato da una foto inedita del poeta, tanto inedita che ai suoi occhi quel vecchietto ritratto dietro alla scrivania non sembrava affatto Saba. Incuriosito aveva chiamato il giornalista che conosceva e attraverso una complicata serie di passaggi di persona era riuscito a lamentarsi con chi si occupava delle immagini ricevendo come risposta di farsi i fatti propri, con paradossale ironia se pensate che lui conosceva Saba meglio di tutti ed era proprio ciò che stava facendo: i fatti propri! Ancora oggi cercando immagini di Saba in rete potete incrociare un vecchietto che non gli assomiglia assolutamente. Lo stesso vecchietto che troneggia sulla copertina di due libri.
E a Mario piace raccontare ciò che gli è accaduto nel tempo nell’antro. Come la storia della signora di mezza età molto elegante, completa di borsa e accessori, parrucchiere continuo, fare autorevole, completa di amiche anch’esse agghindate, in dialetto si direbbe oggi “zucade”. Si rivolge a Mario e gli chiede un libro di storia locale “è un libro di più di cento anni fa, pensi che sono mesi che lo cerco, sono andata dappertutto, anche su internet e non si trova. Mi hanno suggerito di provare da lei, ma sono già certa che non lo avrà, ma sa passavamo di qua…”.
Mario con professionale serietà e malcelata soddisfazione allunga la mano sotto il cumulo di libri che ricopre costantemente il suo bancone e con fare sicuro allunga il volume richiesto alla elegante signora ricoperta di pezzi alla moda: “Guardi per caso è proprio qua, ed è anche una copia perfetta, molto ben conservata, anche se ha più di cento anni (sorridendo tra sé e sé)”. La signora lo prende, lo rigira tra le mani “sì, è proprio quello che cercavo, quanto viene?”. Mario riprende il libro in mano, guarda l’ultima pagina e sentenzia “sono 80 euro, signora”. La signora ha una reazione di sorpresa, si sistema la borsa Louis Vuitton con un moto disordinato che fa cadere il foulard Hermès che, nonostante l’età, Mario raccoglie con scatto. “Ah io non spendo ottanta euro per un libro!”. Mario riprende con garbo il proprio volume e lo rimette sotto gli altri, sul bancone “non importa, SSSSSignora” calcando la voce su signora fino a far diventare il titolo assai poco signorile. Le “crodighe” escono indispettite. Andando a prendere l’aperitivo. Chissà perché sono entrate.
I turisti
Tutte le guide della città danno ai visitatori indicazioni precise sulla libreria Saba. E i turisti a Trieste negli ultimi tempi sono aumentati grazie all’attracco delle moderne grandi navi da crociera, transatlantici sovradimensionati, più grandi dei palazzi delle rive, un vero obbrobrio estetico. Non comparabili con l’eleganza delle navi bianche orgoglio dell’Italia degli anni Sessanta: la Raffaello o la Michelangelo, ma anche delle navi degli esuli, la Saturnia e la Vulcania.
I turisti girano perlopiù a gruppi. Gruppi che intasano gli ormai stretti passaggi tra i tavolini disseminati ovunque, composti di persone in età spesso avanzata, abbigliati in modo uniforme “da vacanzieri”, pantaloncini corti anche in autunno, magliette sempre troppo strette a sostenere pancioni da benestanti, spesso omogenei alle navi, orribili. E Mario protesta, dice che in libreria i turisti si accalcano negli stretti spazi, ascoltano il sermone della guida, non comprano mai nulla. Se li vede arrivare, tiene la saracinesca a metà. Fa entrare solo chi è accompagnato da guide locali di cui ha stima. Gli altri, pazienza, alla prossima crociera.
Si diverte invece ad accogliere gli studenti in visita con gli insegnanti, soprattutto se sono più piccoli. Ed è bravissimo nell’intrattenere i bambini: mostra un incunabolo, spiega che è stato stampato prima della scoperta dell’America. Fa vedere i caratteri di stampa, fa provare una macchina da scrivere, proprio quella di Saba. I bambini ne rimangono affascinati! Alle domande belle, che solo i bambini sanno fare, racconta, inventa, divaga. Se pensate ad altri modi di passare la pensione potete solo invidiare Mario, che ritorna ogni giorno al proprio luogo di fascino di quando era bambino e ci veniva con il papà e che poi è stato il suo luogo di lavoro, di incontro diretto con persone di grande spessore.
Conclusioni, per ora!
Mario Cerne ha portato avanti la libreria con la doppia funzione di negozio, ma soprattutto di luogo della memoria di Saba. Questo sforzo gli è stato riconosciuto soprattutto dagli estimatori, amici che passano a fargli visita e a fare due chiacchere. La libreria è stata riconosciuta formalmente come “Studio d’artista”, monumento nazionale, suscitando il disappunto di altro libraio che si è sentito in dovere di dichiararlo sul quotidiano cittadino. Un poco come capitava a Saba, forse per mantenerne vivo lo spirito di avversione e poca considerazione per il poeta e i suoi simboli in città.
Di fatto, anche se sua figlia non avrà alcun interesse a continuare il lavoro del padre, Mario si è comunque assicurato un erede. Lo sceglieranno proprio lui o sua figlia. Infatti, da quando la libreria è stata dichiarata “Studio d’artista” il proprietario della stessa, che poi è la comunità ebraica, è tenuto a mantenere la medesima attività nel luogo. E la licenza è di Mario che la cederà a chi vorrà. Quindi, in perfetta sintonia con tutti i protagonisti di questa raccolta, Mario si è assicurato un erede che continuerà a mantenere in vita la libreria Saba. Almeno così dovrebbe essere. Ora è chiuso per “ferie – crocieristi”. Ti aspettiamo in ottobre. Grazie Mario. —
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