Maria Roveran, anima del film sul Coro di Ruda
L’attrice è protagonista di “Resina” di Renzo Carbonera e il suo personaggio è ispirato alla direttrice Fabiana Noro

I lineamenti spigolosi, la figura sottile e un fascino androgino che non ne compromette la femminilità: sono solo alcuni dei tratti, evidenti al primo sguardo, che caratterizzano Maria Roveran, attrice ventinovenne nata e cresciuta a Venezia, da considerare a pieno titolo il nuovo volto del Nordest e tra i più interessanti talenti emergenti del cinema italiano d’autore.
Esordiente nel 2013 in “Piccola Patria” di Alessandro Rossetto, impegnata sul set del nuovo film di Mario Martone (“Capri-Batterie”, il cui titolo si rifà a un’opera di Joseph Beuys), solo poche settimane fa il suo ultimo lavoro “Resina” è volato a Montrèal, al Festival des Films du Monde che ne ha ospitato l’anteprima mondiale.
Nel film, opera prima di Renzo Carbonera ispirata alle vicende che in anni recenti hanno interessato il Coro Polifonico di Ruda, dà il volto a una giovane violoncellista che guarda alla figura di Fabiana Noro, cui si deve il rilancio di quello che oggi è considerato uno dei migliori cori maschili al mondo, sotto la sua guida dal 2003. Storia di una donna in un mondo di uomini, ambientata in una piccola comunità montana in trasformazione in cui tutti hanno bisogno di ritrovare il senso d’unione e di appartenenza, “Resina” descrive il ritorno della protagonista (anche lei Maria) al suo paese d’origine. Là entrerà in contatto con il coro polifonico di cui faceva parte suo nonno e con grande determinazione ne prenderà in mano le redini, riscoprendo la gioia nella musica.
«Un ruolo impegnativo - ammette Roveran - su un set molto isolato, a Luserna. Ho dovuto studiare parecchio, soprattutto per approfondire il rapporto del personaggio con lo strumento, il violoncello, e per contestualizzare ogni scena nell’ambiente». L’intreccio con la musica di certo non l’ha scoraggiata, visto che oltre a calcare le scene Maria Roveran è anche cantante, autrice di un album intitolato “Alle profonde origini delle rughe profonde”, che comprende alcuni brani composti per la colonna sonora di “Piccola Patria” e “La foresta di ghiaccio”. «Finisco sempre a lavorare in progetti che hanno uno stretto legame con la musica, anche se io non vengo da quel mondo. Mi è sempre piaciuto cantare, ma per me quella restava un’esperienza intima. Come fare l’amore. È stato Rossetto a farmi esibire per la prima volta in pubblico, ed è stata un’esperienza così intensa che sono scoppiata a piangere».
Anti-diva per scelta, poco incline a lasciarsi incasellare in qualsiasi cliché, Maria Roveran si muove assecondando il suo istinto, tesa verso la scelta di ruoli impegnativi, poco rassicuranti, spesso ai margini rispetto alla produzione nazionale più commerciale e popolare. Animata da quelle stesse inquietudini che un giorno l’hanno spinta ad abbandonare gli studi universitari in fisica per seguire le inclinazioni artistiche scoperte quasi per caso, proprio a Trieste, quella che lei stessa ricorda come “la città della crisi e della scoperta”.
«È qui che la mia vita è cambiata, - racconta - in questa città che adoro. Ma non è stato semplice. Studiavo all’università e mi trovavo benissimo, ma vivevo un periodo complicato dal punto di vista personale. Mi sono iscritta a una scuola di danza dove ho scoperto il corpo. Poi mi è stato proposto un progetto di teatro per l’inclusione sociale e lì ho conosciuto un ragazzo che studiava al Centro di Cinematografia Sperimentale di Roma. Non sapevo neppure cosa fosse, ma il bando per l’iscrizione scadeva a mezzanotte e, piena di incertezze, ho spedito comunque la domanda. Da quel momento la mia vita è cambiata». Tra le sue passioni, oggi, oltre a cinema, teatro e musica, c’è il pugilato. Dentro al ring l’attrice ritrova la stessa energia del set o del palcoscenico «dove devi imparare la percezione di te e del tuo corpo». «La boxe - spiega - ti insegna a incassare i colpi, a riprendere fiato quando ne hai bisogno, a rialzarti e a combattere. Ti insegna, soprattutto, che il tuo rivale non è un avversario ma uno specchio. È davvero un peccato che intorno al pugilato vi sia ancora tanto pregiudizio».
Sogni per il futuro? Non manca la voglia di mettersi in gioco e lavorare ancora sul corpo. Un’esperienza all’estero? Magari.
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