Maria Antonietta la regina vittima delle fake news

Erano due adolescenti, 14 anni lei, 15 lui. La ragion di stato li aveva uniti per metter fine alle antiche rivalità tra Francia e Austria, o meglio tra le due dinastie, i Borboni e gli Asburgo, e si trovarono a sedere su un trono che era una polveriera, pronta a saltare in aria. Parliamo di Maria Antonietta e di Luigi XVI. Alla figlia di Maria Teresa d’Austria, che la fine violenta ha trasformato in un’icona, è dedicato il libro “Marie Antoinette - Una regina bambina che va oltre il suo tempo” di Ida von Düringsfeld (Mgs Press, 136 pagine, 16 euro). Verrà presentato il 5 maggio, alle 18, al Caffè Tommaseo di Trieste, dall’editore Carlo Giovanella, con la scrittrice Alice Mortali, presidente dell’Associazione nazionale Maria Antonietta, e la traduttrice del libro Rebecca Sandrigo.
La regina bambina arriva in Francia piena di speranze e illusioni, ma già l’incontro con il futuro sposo è una delusione: il giovanottino è grassoccio, impacciato e imbronciato. Il ritratto che le avevano mandato a Vienna non era sincero (avevano lavorato di photoshop, si direbbe oggi) e il carattere schivo e chiuso del Delfino non contribuivano a migliorare la situazione. Lei è bellissima, tanto da entusiasmare i francesi, anche se detestano gli austriaci. Dura poco, perché sarà marchiata come l’“autrichienne”, la straniera, per tutta la sua vita, fino a quando finirà sulla ghigliottina.
Quello che colpisce nella narrazione di Ida von Düringsfeld è l’indignazione per il regicidio. L’autrice non è particolarmente benevola nei confronti di Maria Antonietta, ne descrive i difetti (scarsa cultura, fatuità) e i pregi (lealtà verso il marito, affetto per i figli) con il debito distacco, però traspare dal suo scritto la netta condanna dei rivoluzionari. L’atteggiamento dell’autrice è quello di una donna dell’Ottocento, nasce nel 1815 e muore nel 1876. Certamente emancipata per l’epoca: studia musica e lingue romanze e slave e, giovanissima, pubblica le prime liriche, seguite da un ciclo di romanzi molto apprezzati dai lettori e diari di viaggi. Ma è una conservatrice e monarchica convinta come testimonia un altro libro, dedicato a "Maria Teresa. Semplice nel privato, determinata sul trono", pubblicato da Mgs Press l’anno scorso.
Va detto che la casa editrice triestina ha il merito di aver riscoperto questa scrittrice tedesca dimenticata e di averla fatta conoscere al pubblico italiano. Ma concludiamo la biografia dell’autrice: nel 1845 sposa lo storico e linguista Otto Freiherr von Reinsberg con cui avvia un saldo sodalizio affettivo e lavorativo, così potente che, il giorno dopo il decesso improvviso di Ida, Otto si toglie la vita.
Un’altra caratteristica della von Düringsfeld, sempre tipica del suo tempo, è quella di non approfondire i particolari scabrosi della biografia, come la permanenza dei reali al “Tempio” la sede dei Templari diventata lugubre carcere, perché, scrive: «Desideriamo risparmiare a noi e alle giovani lettrici i dettagli della prigionia dei reali. Fortunatamente non abbiamo il compito né di risvegliare né di accendere alcuno spirito di parte e preferiamo coprire con il velo del silenzio quelle terribili vicende. Se le nostre giovani lettrici desiderano scoprire e comprendere le sofferenze della famiglia reale leggano pure la leggenda dei martiri reali di Francia, i quali, innocenti, pagarono per il fatto stesso di essere regnanti». E accenna soltanto ad aspetti scottanti, come la vicenda dell’amante di Maria Antonietta, il conte svedese Hans Axel von Fersen, diplomatico e statista, artefice dello sfortunato tentativo di fuga. O il processo farsa contro Maria Antonietta al quale viene chiamato a deporre come testimone d’accusa il figlioletto. Colui che non diventerà mai Luigi XVII e che morirà a dieci anni in condizioni atroci, non giustificate dall’ardore rivoluzionario.
Però, a colmare le lacune, soccorrono l’ampia e documentata prefazione di Alice Mortali e le dettagliate note della traduttrice Rebecca Sandrigo, oltre alla cronologia e all’albero genealogico che completano l’opera.
Da gustare il cammeo di Stefan Zweig, che fu biografo di Maria Antonietta, qui dedicato a Jean Luis David, che definisce «una delle anime più abbiette, uno dei più grandi artisti del suo tempo». Perché al pittore si deve lo scabro disegno della regina sul carretto mentre si avvia al patibolo, che mostra alla perfezione la donna immiserita ma ancora altera, che vuole soltanto che tutto finisca. «Una donna – come disse Napoleone - che non aveva se non gli onori senza il potere, una principessa straniera, il più sacro degli ostaggi, trascinarla dal trono al patibolo, attraverso ogni sorta d’oltraggi, vi è in ciò qualcosa di peggio del regicidio».
A oltre due secoli dalla sua tragica fine, si deve ancora difendere Maria Antonietta da accuse infamanti. A cominciare dalla famosa frase “S'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche” che sarebbe stata pronunciata durante la rivolta del pane. È una fake news, si direbbe oggi, diventata virale nonostante né allora né nei due secoli successivi ci fossero i social. Poi c’è lo scandalo della costosissima collana di diamanti che la regina avrebbe voluto. Non è vero. Il re gliela aveva offerta due volte, ma lei l’aveva rifiutata dicendo: «Sarebbe meglio utilizzare quella cifra per comprare una nave per la Francia». Era tutta una truffa, architettata dalla contessa Jeanne de Saint-Rémy de Valois, contro la regina e il cardinale di Rohan, che ci cascò come un allocco. Infine le accuse di essere una specie di Messalina, anche incestuosa, che riempirono i libelli contro Maria Antonietta e furono oggetto del menzionato processo farsa.
In sostanza Maria Antonietta è il capro espiatorio di una gravissima crsii economica, che certamente lei non aveva provocato e che aveva radici antiche negli spudorati privilegi di una nobiltà parassita che aveva monetizzato in vitalizi la fedeltà alla corona, che pagava. Luigi XVI uomo intelligente e onesto, che non ama il lusso e la corte, tenta delle riforme su suggerimento Anne-Robert Jacques Turgot, che aveva nominato ministro delle Finanze. Le proposte di Turgot incontrano la decisa opposizione della nobiltà, dei proprietari terrieri, dei banchieri, dei capi delle corporazioni e pure dei contadini, che fanno scoppiare la cosiddetta guerra delle farine, favorita dalla carestia del 1774. Sostenuto dai soli illuministi, Turgot si trova isolato e viene destituito il 12 maggio 1776.
Poi è un crescendo rossiniano di errori ed esitazioni perché Luigi XVI non è un despota ma neanche un riformatore convinto e manca di fermezza. Maria Antonietta che aveva trovato un’intesa, anche a letto, con il marito, dopo sette anni di infelicità e incomprensioni, e gli aveva dato quattro figli, è al suo fianco. Ma non ha potere.
Con la presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789, la situazione precipita. I reali non sono più liberi, ma l’istituzione non viene messa in discussione. Dietro c’è il Mirabeau che infiamma i rivoluzionari ma punta a una monarchia costituzionale. Però muore poco dopo e il re decide di lasciare Parigi, anche perché all’estero gli “émigrés”, tra cui i suoi due fratelli, non fanno mistero di volere la restaurazione. Il pericolo è incombente, viene decisa la fuga verso le Fiandre, dettagliatamente narrata dalla von Düringsfeld, che finirà a Varennes. Magna pars nell’organizzazione si deve al Fersen, ma l’imprudente Luigi XV, viene riconosciuto e riportato a Parigi. Il gesto farà decidere i rivoluzionari per la repubblica e per la ghigliottina.
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