Mamma Roma di Pasolini la prostituta Magnani come la mamma del poeta

Studio sul film edito da Cineteca di Bologna e Cinemazero con documenti inediti, critica, riferimenti iconografici

la recensione



Quando nel 1962 “Mamma Roma” di Pasolini viene proiettato alla Mostra del cinema di Venezia, il comandante dei Carabinieri della città lagunare denuncia regista e produttore per «offese al buon costume» e per il linguaggio «offensivo del comune senso della morale». Il magistrato, bontà sua, giudicherà però infondato l’esposto e deciderà di non dover procedere all’azione penale. All’uscita del film nelle sale, al cinema Quattro Fontane a Roma, dopo la proiezione Pasolini viene aggredito da alcuni giovani fascisti, ma reagisce e insegue i facinorosi, aiutato dagli amici Sergio Citti e Piero Morgia (il primo collaboratore ai dialoghi, il secondo attore del film).

A ricostruire nei minimi dettagli le vicende del secondo lungometraggio pasoliniano è ora un libro, riccamente illustrato, dal titolo “Mamma Roma, un film scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini”, coedito dalle Edizioni Cineteca di Bologna e da Cinemazero di Pordenone (a cura di Franco Zabagli, pp. 192, euro 20). Il volume ripercorre la genesi, la lavorazione e le vicissitudini del film, facendo ricorso ai documenti originali (alcuni dei quali inediti), agli scritti dell'autore e alle testimonianze dei protagonisti.

Dopo l'exploit nel 1960 con Accattone, Pasolini continua con Mamma Roma la sua avventura cinematografica. Il film è organizzato attorno al sogno di una prostituta di vedere il proprio figlio inserito in una vita diversa, più "rispettabile", cioè piccolo-borghese. La protagonista questa volta è un’attrice professionista, Anna Magnani, chimata a interagire con altri attori presi dalla strada. All’inizio della storia, Mamma Roma (questo il soprannome della donna) crede di essersi definitivamente affrancata dal suo sfruttatore, Carmine (Franco Citti), che si è sposato. In realtà l’uomo tornerà presto a battere cassa, con la pretesa di farsi nuovamente mantenere. Nel frattempo però Mamma Roma si trova un lavoro "onesto" (un banco di verduriera al mercatino rionale) e chiama dalla campagna, dove l’aveva collocato da una famiglia contadina, il figlio Ettore (Ettore Garofalo), sperando per lui un futuro migliore. Nel figlio vede infatti la prospettiva di un riscatto anche per se stessa. Cercherà di ottenergli un lavoro di cameriere, ma il ragazzo, quando saprà che la madre si prostituisce, si darà a sua volta ad attività illecite. Proprio mentre sta cercando di rubare una radiolina a un ammalato in una corsia di ospedale, viene catturato e portato in prigione, dove darà in ismanie e alla fine morirà.

Nel saggio introduttivo al volume (nel quale è anche presente una disamina della ricezione critica del film), Zabagli propone una rilettura filologica del film sul piano poetico e formale. Si può notare, per esempio, come Anna Magnani rappresenti, nel cinema pasoliniano, la prima grande figura materna, proiezione autobiografica per l’autore, ma anche l’icona religiosa della Mater Dolorosa (ed Ettore, specularmente, rappresenterebbe una figura cristologica). La sacralità della vicenda è sottolineata dall'"altezza" della musica di Vivaldi, scelta per la colonna sonora, in patente contrasto con la "bassezza" delle situazioni rappresentate. Non mancano i riferimenti iconografici alla pittura e al cinema. Ad esempio il pranzo delle nozze di Carmine, su cui si apre il film, rimanda alle “Ultime Cene del Quattrocento”, ma anche al film Viridiana (1961) di Luis Buñuel, dove è presente una sorta di parodia dell’Ultima Cena, con mendicanti e straccioni, chiassosi, ubriaconi, volgari e senza scrupoli in luogo degli apostoli. L’agonia di Ettore richiama la pittura di Mantegna, in particolare il suo celeberrimo Cristo morto (alla Pinacoteca di Brera). Il libro è completato da altri tre saggi: di Tommaso Mozzati sulla storia produttiva; di Francesco Galluzzi sulla "fulgurazione figurativa"; e di Roberto Chiesi sulla censura occulta e sui boicottaggi. Che anche in questo caso non mancarono a Pasolini. —

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