Magris: «Che scherzi alla mia maturità con Giovanni Getto»

Lo scrittore e germanista ricorda la sua prova al Liceo Dante di Trieste nell’estate del 1957
Claudio Magris ritratto da Massimo Jatosti
Claudio Magris ritratto da Massimo Jatosti

TRIESTE Per Claudio Magris, l’esame di maturità non è stato solo un rito di passaggio. In quella caldissima estate del 1957, lo scrittore di “Danubio”, “Microcosmi”, “Non luogo a procedere”, si è trovato in pochi giorni ad affrontare uno dei test più difficili della sua vita. E a decidere, nello stesso tempo, se scegliere un futuro da professore universitario, da germanista e letterato, o sognare una carriera nel cinema.

Oggi, se ci pensa, Magris fa fatica a sintonizzarsi così, d’improvviso, con quei ricordi: «Sinceramente credo che la mia maturità di sessant’anni fa non possa interessare nessuno, tranne i miei compagni. Con tutti i disastri che si sono abbattuti e che, temo, si abbatteranno sempre di più sul nostro mondo...».

Poi, l’onda dei ricordi lo fa vacillare. Anche perché, di curiosità ce ne sono da raccontare. «Per me la maturità al Liceo Dante di Trieste, in quel torrido luglio 1957, è stata fondamentale - dice -. Ha deciso della mia vita. Il presidente di commissione era Giovanni Getto, ordinario di Letteratura italiana a Torino, e uno dei massimi storici e critici letterari. Dopo il mio esame, visti i risultati, mi propose di andare a studiare lì, all’Università di Torino. Sicchè io, che esitavo tra Lettere e il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, ci andai. Quella lunga permanenza nella città piemontese, come studente e poi come docente, è stata decisiva. Senza di essa non esisterebbe il mio percorso di studioso e di scrittore».

Il primo incontro con Getto è stato assai comico. «Lui, che evidentemente voleva presentarsi quale protettore degli studenti rispetto agli altri membri della commissione, ci disse, ricordo esattamente le sue parole, che per ogni legittima istanza e protesta noi avremmo trovato in lui un padre. Ma qualora fossimo ricorsi all’arma vile e bassa della lettera anonima avremmo incontrato solo il suo disprezzo».

Anche i serissimi studenti del “Dante” erano pur sempre dei ragazzi. «Non avremmo mai pensato a scrivere lettere anonime, ma dopo le parole di Getto decidemmo di scriverne, quel pomeriggio (Giovanni Gabrielli, dotato di eccezionale bravura e di scatenata giocosità, Giorgio Rosman e io, il triumvirato di cui sono l’unico superstite), una dozzina di lettere anonime. In cui accusavamo i commissari di tutte le turpitudini possibili. Dicendo che il professore di Matematica era venuto a Trieste con il pretesto della maturità per fare contrabbando di sigarette fra l’Italia e la Jugoslavia, ma che risultava comperasse sigarette dove erano più care per rivenderle dove il loro prezzo era molto inferiore».

La paura dell’esame non spegneva, insomma, la voglia di divertirsi. «Anche durante le prove scritte, assai difficili, specialmente quelle di Greco e di Latino - racconta Magris -, non avevamo perso la voglia di giocare. Ad esempio, due o tre di noi avevano portato con sé dei ritratti di grandi personaggi (io, quello di Giuseppe Mazzini, tetro «il volto che giammai non rise», sullo sfondo del cimitero di Staglieno) e tenevamo questi ritratti sotto il banco, dando loro occhiate furtive, finché l’uno o l’altro commissario non si precipitava a strapparci il foglio, convinto di trovare il testo della traduzione. Rimaneva imbarazzato quando gli dicevamo compunti che ci rendevamo conto che ciò era proibito, ma che ne traevamo conforto».

Il risultato finale, per Magris, fu ottimo. E tra tanti bei voti, uno riuscì a creargli un po’ di imbarazzo. «Credo di aver ricevuto i voti più alti di qualsiasi altro esame. C’era, però, il problema della Matematica, materia di cui ero e sono molto debole e mi dispiace perché è una scienza necessaria per conoscere il mondo. In questo senso ho tralignato rispetto alla mia famiglia: mio nonno Francesco de Grisogono è stato un geniale matematico, autore di scritti importanti; mio padre non era un matematico, ma aveva una grande inclinazione e un grande interesse per la matematica; il mio figlio maggiore Francesco è un competente matematico, cosa del resto ovvia e necessaria visto che insegna Macroeconomia. Io, invece, avevo ricevuto alcune insufficienze soltanto in Matematica. Ed è l’unica disciplina in cui, prima dell’esame di maturità, presi lezioni private da ottimi docenti, ma con scarsi risultati. Inopinatamente, non so come, alla maturità presi 9, cosa che mise di malumore e imbarazzo mio padre. Perché conoscendo bene la mia scarsità in quel campo, riteneva che quel voto non meritato gettasse discredito sugli altri. E quando gli amici chedevano notizie della mia maturità, era fiero di elencare i voti delle altre materie. Ma aggiungeva frettolosamente che in Matematica, per fortuna, me l’ero cavata».

Ancora oggi, nella memoria di Magris «quella maturità mi è viva e presente e non per nostalgia del passato, sempre inutile e fasulla, ma perché ha concluso un periodo della mia vita, il liceo, che mi ha formato in modo essenziale negli studi e nella visione del mondo, nella capacità di unire serietà e gioco. Ho avuto la fortuna di avere ottimi insegnanti e soprattutto notevolissimi compagni: oltre a Gabrielli e Rosman, Franco Chersi, che sarebbe divenuto un eccellente matematico; Alberto Giovannini, che venne con me a Torino e divenne uno stimato professore di Fisica; Franco Stegel, morto prematuramente mentre frequentava il leggendario Istituto di via Panisperna. Ma dovrei nominarne molti altri. Alcuni anche dal tragico destino. Li sento come fratelli e, quindi, mi sento loro debitore, visto che perfino un grande Papa come San Gregorio Magno diceva che senza i suoi fratelli non avrebbe capito le cose essenziali della vita. E io aggiungo anche alle sorelle».

Come dimenticare che il primo incontro con Marisa Madieri, diventata poi sua moglie, risale a quel 1957. «Ho parlato solo di compagni, perché purtroppo eravamo una classe maschile, ma ovviamente c’erano e ci sono anche le compagne. Alcune delle quali sono rimaste mie amiche per tutta la vita, come Donatella Baldi. Ed è al liceo, alla soglia della maturità, che ho conosciuto Marisa».

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