“Mad in Italy”, così siamo diventati in quarant’anni il popolo del trash

Gabriele Ferraresi  per il Saggiatore spiega come non solo i nostri prodotti sono irriconoscibili ma anche noi stessi 



C’è da arrabbiarsi, da essere neri furenti, proprio mad, a leggere Mad in Italy. Manuale del trash italiano 1980-2020 (il Saggiatore, pagg. 423, euro 20) di Gabriele Ferraresi. Una cronistoria degli ultimi quarant’anni che attesta la miseria intellettuale in cui versa la nazione, la quale per carenza di cultura ha perso la propria identità, fatta di valori appresi attraverso fatica, studio, lavoro.

Ci sono due Italie: una made e una mad. Ci siamo sempre vantati dei nostri prodotti made in Italy, che tutti gli altri Paesi ci invidiavano, perdendo di vista che con la globalizzazione non solo essi spesso, non essendo più fatti in Italia da ingegni e mani italiani, non erano più riconoscibili, anzi la loro natura era snaturata, ma che noi stessi stavamo diventando irriconoscibili nell’aspetto e persino nei modi di vivere e di porci al prossimo.

Parliamoci chiaro: dobbiamo essere impazziti, mad, perché ci siamo involgariti; siamo diventati trash, coatti. E chi non lo è, non è trandy, non fa tendenza, non è nessuno. E via le pupe a sfilare orgogliose delle loro protesi a ciglia di struzzo, unghie da strega, labbra a salvagente, sopracciglia per voli pindarici, capelli argentei da regina del Trono di Spade; mentre i bulli ostentano barbe da guerriglieri dell’Isis, taglio di capelli da SS, braccialetti di perline che neanche l’ultimo dei Mohicani si infilerebbe al polso. E così agghindati e tatuati come vichinghi ce ne andiamo per le strade del Belpaese e siamo bruttissimi.

Ma fosse tutto qua: il costume in cui ci siamo identificati ha finito per deteriorare tutti i costumi: i mores. Siamo scostumati. Cosicché più ci agghindiamo, più appaiamo nudi e crudi nel nostro modo di essere amorali.

Cosa ci è successo? Volevamo folleggiare e siamo usciti dai binari della moralità. Est modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum: c’è una misura nelle cose, ci sono determinati limiti, al di là e al di qua dei quali non può sussistere la rettitudine.

Lo scrisse Orazio e lo ripeteva il nostro prof di latino come un mantra. Tutto cancellato da qualche stilista, vip, blogger che abbiamo preso ad esempio come fosse un dio in terra. Oggi traduciamo da ignorantoni: “ognuno ha il suo modo di fare le cose”. E chiudiamo qua, convinti che ognuno debba essere libero di fare come gli pare: fare schifo e calpestare il prossimo.

La metamorfosi del travet italiano in trash inizia a fine 1980 quando vede sullo schermo il ragionier Fantozzi e si ripromette di fare di tutto per non assomigliargli. L’anno seguente si trasforma in paninaro e comincia a nutrirsi ai Burghy. Nell’82 l’Italia vince i mondiali e chi ci tiene più? L’11 luglio del 1984 con la morte di Enrico Berlinguer, i comunisti cominciano a scomparire. Bettino Craxi firma con la Chiesa un nuovo concordato e il cattolicesimo non è più religione di Stato. Lo stesso anno viene fuori che Mike Bongiorno ha le corna perché sua moglie si è risposata a Las Vegas con Walter Fusari. Berlusconi lancia la televisione commerciale e la Rai perde il monopolio. Nell’87 l’italiano medio s’indottrina su Beautiful. Umberto Bossi diventa Senatùr e sdogana la canottiera di Fantozzi. Jerry Calà rivela al popolo come sudano i ricchi nella miniserie Professione vacanze. L’ambizione è diventare yuppy. Nel 1990 arriva il cellulare: è uno status symbol e pure uno strumento di controllo del coniuge. Tutti possono diventare famosi con il Karaoke di Fiorello. Silvio Berlusconi scende in campo nel ’94 dichiarando: «L’Italia è il Paese che amo». Craxi fugge ad Hammamet. Nel 2002 Emanuele Filiberto di Savoia fa il testimonial dei sottaceti dimostrando che anche un principe può essere trash. Legittimiamo le gesta di Nicole Minetti e di Ruby con lo zio faraone, gli amori di Vladimir Luxuria e di Belen, la preghiera in diretta di Barbara D’Urso assieme a Matteo Salvini… Come siamo caduti in basso! —

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