Lucio Caracciolo «I muri? Un bluff dei politicanti»

Il direttore di “Limes” apre questa sera a Udine la dodicesima edizione di vicino/lontano
Di Alberto Rochira

di ALBERTO ROCHIRA

Europa grande assente nella gestione della crisi migratoria che investe il vecchio continente, «perché proprio non la si vede». E per quanto riguarda la tragica vicenda del giovane ricercatore friulano torturato e ucciso al Cairo, «quello di Giulio non è un caso Regeni: ciò che gli è accaduto è la prassi di questo regime».

Così Lucio Caracciolo, esperto di geopolitica e direttore della rivista “Limes”, che questa sera alle 21 a Udine sarà Protagonisti della giornata d’apertura del dodicesimo Festival vicino/lontano con la lectio magistralis “L’età delle incertezze”. Dopo la cerimonia inaugurale (alle 18.30 nella ex Chiesa di San Francesco), seguirà alle 19 “La verità malata, da Ustica a Regeni”, con Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia, i giornalisti Andrea Purgatori e Valerio Pellizzari.

Perché il nuovo numero di “Limes” è dedicato alle periferie?

«Sono ormai decenni - spiega Lucio Caracciolo - che le nostre città crescono al di fuori di ogni tipo di pianificazione. La differenza tra il centro e la periferia è sempre più labile. Noi cerchiamo di capire che cosa siano oggi le periferie e le città dove viviamo con articoli che approfondiscono anche il tema della presenza, o meno, degli jihadisti nello spazio urbano. Ne esce un quadro abbastanza rassicurante, soprattutto se paragonato ai casi francese e belga».

L’Italia è al sicuro dalla minaccia jihadista interna?

«Vi possono essere dei pericoli, legati più a casi individuali o di piccoli gruppi, che non alla presenza di comunità capaci di sviluppare delle aree di consenso nei confronti dello jihadismo e del fondamentalismo».

Quanto può pesare la chiusura del Brennero sulla gestione della crisi migratoria?

«L’Austria ha sviluppato da tempo una forte xenofobia che si manifesta anche nel tentativo, piuttosto grossolano, di questa pseudo-chiusura del Brennero ai migranti. Non avendo idea di come affrontare questo problema, i politicanti cercano di rassicurare la popolazione dando il senso di una chiusura e di controllo del confine con l’Italia. Ma i flussi continuano».

E che dire dell’Europa, che sta a guardare?

«Non vedo l’Europa. Così, alla fine, la signora Merkel fa la sua politica, e poi magari la contraddice, i francesi fanno la loro. Tutto quanto finisce per scaricarsi essenzialmente sul Mediterraneo e quindi su Paesi come l’Italia e la Grecia».

Ma l’Italia, in questo, non dovrebbe essere sostenuta?

«Dovrebbe esserlo, ma uno dei modi in cui questo sostegno viene concepito dai nostri partner è quello di chiudere le frontiere alpine. Il che vuol dire: occupatevene voi. Non è esattamente una forma di aiuto».

Come vede il futuro dell’area balcanica?

«È un’area che è stata in parte sedata dopo le guerre jugoslave, ma che non ha risolto molti dei suoi problemi, alcuni dei quali sono stati accentuati anche dal doppio impatto del fenomeno migratorio e della crisi con la Russia. Tutto questo ha distolto l’attenzione dei principali Paesi europei da quella parte di Europa, dove sostanzialmente si tende a navigare a vista, con il risultato che le forme di instabilità cronica di quell’area risultano oggi molto accentuate».

Che dire dell’Ungheria?

«Un caso limite. Siamo in una regione che si considerava ormai stabile e integrata nello spazio europeo, salvo poi scoprire che vi sono fobie e pulsioni nazionalistiche e francamente uno scarso spirito di integrazione europea. Questo vale per tutti i Paesi dell’area, siamo di fronte a stati che hanno da poco recuperato la loro sovranità e tendono a coltivarla piuttosto che a cederla dinnanzi a uno spazio comune comunitario”.

Di fronte a questi estremismi, l’Unione europea può salvarsi?

«L’Ue è una creazione degli stati europei, quindi sono questi ultimi a doversi assumere la responsabilità di dire quello che vogliono. Ora sembrano volere cose del tutto opposte e c’è uno scarso spirito di solidarietà. Dunque la risposta, per ora, mi pare sia decisamente negativa: non è colpa di nessuno, o meglio, è colpa di tutti».

La situazione in Siria ed Iraq, con questa lotta di tutti contro tutti, come la vede?

«Ci sono dei fattori interni alla Siria e anche all’Iraq, ma ci sono soprattutto le rivalità tra le grandi potenze regionali esterne, che usano quegli spazi per combattere le proprie guerre per procura: Turchia, Iran, Arabia Saudita. Sono questi Paesi, in contrasto tra loro, per ambizioni geopolitiche e interessi economici, che non potendosi fare la guerra direttamente, la conducono usando gli altri gruppi, compresi gli jihadisti e lo Stato Islamico che, tutto sommato, fa comodo a tutti».

Come valuta, in questo scenario, la politica estera degli Usa e della Russia?

«Gli Usa sono presenti nel Medio Oriente, anche se sono meno visibili, poiché le guerre che conducono sono fatte di droni, spie. E poi non vogliono finire prigionieri dei problemi di questi Paesi, che considerano non decisivi. La Russia è intervenuta in Siria per proteggere un regime che le consente una presenza stabile nel Mediterraneo, ma soprattutto per dimostrare agli americani che ha delle capacità di proiezione al di fuori della propria regione. Forse ha sperato che trovando un’intesa, seppur parziale, con gli americani per sedare la crisi siriana, questo potesse darle qualche vantaggio in Ucraina, cosa che poi non è avvenuta».

Italia sempre bacchettata dall’Ue sui conti. Siamo davvero poco diligenti?

«Abbiamo costruito una zona euro che in realtà non è governata. Così la Banca centrale ha una sorta di primato politico che esula dai suoi compiti. In questo vuoto di potere valgono i puri rapporti di forza: al centro sta una grande potenza economica come la Germania, con una sua idea della moneta che non sempre coincide con quella degli altri».

Caso Regeni: si riuscirà a conoscere la verità?

«Quello di Giulio non è un caso, ma la prassi in Egitto. È la vittima italiana, a noi più cara, ma è una delle migliaia di vittime di un regime militare corrotto e instabile che si sente minacciato e demonizza il nemico. Regeni è stato prima torturato e poi ucciso perché probabilmente pensavano avesse dei contatti con l’opposizione. L’Italia fa bene a insistere, ma credo che difficilmente si giungerà alla verità, perché per l’Egitto sarebbe un’ammissione di colpevolezza».

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