Loznitsa al Trieste Film Festival con la guerra tra Russia e Ucraina

Il regista bielorusso terrà oggi una masterclass e accompagnerà il suo “Donbass” tredici episodi dolorosi e grotteschi, esempio di contaminazione tra docu e fiction



Il rapporto tra media, verità, rappresentazione dei fatti e storia è un tema cruciale del mondo contemporaneo e da sempre il centro del cinema di Sergei Loznitsa. Il regista, bielorusso cresciuto in Ucraina, autore di capolavori come “My Joy” e “Austerlitz”, ritorna oggi al Trieste Film Festival, che ha vinto nel 2013 con “anime nella nebbia, per una masterclass (alle ore 17 al Café Rossetti) e per accompagnare i suoi ultimi lavori, il documentario “Il giorno della vittoria” (già proiettato sabato scorso) e il film “Donbass” (oggi alle ore 20 al Politeama Rossetti), per il quale ha vinto come miglior regista a Cannes 2018 nella sezione Un Certain Regard. Ora Loznitsa sta preparando un nuovo film, “Babi Yar”, una storia di Olocausto in Ucraina durante la Seconda Guerra Mondiale.

«Nella masterclass parlerò di come documentario e cinema di finzione si influenzano reciprocamente e come impiego entrambi nel mio lavoro. In “Donbass”, in particolare, ho usato materiale documentario come base per creare un film di fiction», dice il regista. Il lungometraggio è una potentissima raccolta di 13 episodi, dolorosi e a tratti grotteschi, sulla vita durante la guerra tra Russia e Ucraina, tra separatisti filo-russi sostenuti da Mosca ed esercito ucraino, nella regione del Donbass, fra ospedali, rifugi antiaerei, centri di potere infestati dalla corruzione. «Prima di tutto è importante capire che la guerra non è finita: è un conflitto armato che sta proseguendo in Europa, del quale in Occidente viene riportato molto poco. Ho sentito che era assolutamente necessario parlarne ed esporre la situazione così come la vedo», afferma Loznitsa.

Gli episodi sono basati su eventi reali?

«Sì, è tutto accaduto veramente. A parte l’introduzione e il “post-scriptum” ambientati sul camion televisivo del make-up, tutti gli episodi sono basati su filmati amatoriali ripresi nel Donbass durante i primi mesi della guerra, o su resoconti scritti di testimoni».

Perché ha scelto un film a episodi senza un protagonista principale?

«Ho già lavorato con una struttura simile nel mio film precedente, “A Gentle Creature”, ma in quel caso c’era una protagonista, una giovane donna che faceva in un certo senso da guida, come Virgilio, nella discesa all’Inferno, e portava lì anche gli spettatori. In “Donbass” ho fatto il passo successivo e mi sono liberato del protagonista. Il film è sulla condizione umana e il territorio afflitti dalla piaga della disgregazione, della corruzione e dal crollo dei valori morali: penso che questa struttura abbia funzionato».

Nel film vediamo come la propaganda crei una “verità” alternativa. Questo processo è connesso con la crescita dei nuovi nazionalismi e populismi anche in Occidente?

«Assolutamente sì. Viviamo al tempo delle fake news, della manipolazione da parte dei media e della post-verità. Sappiamo che i mass media russi sono molto attivi non solo all’interno del paese, ma anche all’estero. Il canale di notizie Russia Today trasmette in tutte le principali lingue in tutto il mondo, e quindi gli spettatori sono esposti alle stesse fake news e alla stessa propaganda dei cittadini russi. C’è un’indagine che sta procedendo negli Stati Uniti su come i media e gli agenti russi su internet abbiano influenzato la campagna elettorale americana. Sappiamo che la Russia supporta attivamente i movimenti nazionalisti e populisti in tutta Europa.

L’unico modo per proteggersi da quest’attacco di propaganda è imparare i fondamenti del montaggio, degli effetti visivi e dell’arte di fare film, per capire che ogni immagine che ci viene presentata è la creazione di qualcuno e che è molto ingenuo credere a ogni foto che si vede in tv. Questi temi dovrebbero essere insegnati nelle scuole».

Il cinema può ancora insegnare qualcosa sul nostro presente e passato, nonostante la realtà sia sempre più filtrata dai social media?

«Il cinema e l’arte in generale possono avanzare delle domande. Forse non possono insegnare, ma incoraggiare le persone a riflettere sugli eventi invece di accettare solo la “verità” che qualcun altro vuole proclamare». —

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