“Lost places”: i luoghi perduti di Trieste in mostra al Magazzino 26 in Porto Vecchio
TRIESTE. Luoghi abbandonati, muri scrostati, la vegetazione che invade gli spazi confondendo il dentro con il fuori, tra un senso di assenza e tracce di antichi splendori. In epoca romantica, in ambito pittorico, si diffuse la poetica del “ruderismo” per esprimere l’impossibilità da parte dell’uomo di fermare il tempo e il decadimento non solo del proprio essere ma anche di tutto ciò che può costruire. Le rappresentazioni di ruderi e di architetture in rovina costituiscono l’occasione per meditare sulla vanità dell’uomo, sul suo essere perituro, sulla fugacità del tempo, ma sono al tempo stesso espressioni di un sentimento di nostalgia per un passato che si può soltanto reimmaginare nel presente, attraverso le sue storie.
Sono così anche le fotografie di Barbara Essl esposte nella mostra “Lost places”, nella Sala Leonor Fini del Magazzino 26 di Porto Vecchio a Trieste, aperta fino al 2 luglio.
Dal 2013 l’artista austriaca ha iniziato a interessarsi a luoghi dimenticati mappando un po’ in tutta Europa singoli edifici e aree in stato di decadenza o in fase di trasformazione. I luoghi interessati dalla mostra sono Vienna, Lipsia, Trieste, Maiorca, Fiume, Malinska sull’isola di Veglia, Venezia.
Le sue stampe fotografiche su alluminio riguardanti il Porto Vecchio di Trieste ritraggono gli interni e gli esterni dei magazzini in una tonalità dominante tendente al bianco e nero da cui vengono fatti risaltare alcuni elementi colorati come il rosso dei mattoni e della ruggine o quello dei nastri e dei cartelli che vietano il transito. Altrove il colore viene ad esaltare la presenza di un oggetto inatteso o estraneo al contesto come nel caso della poltrona di velluto giallo-arancio nello spazio vuoto del Magazzino 17. Desolazione e precarietà emergono dall’edificio della sede portuale mentre solitaria si erge l’Ursus vista dal mare, sullo sfondo di un cielo grigio.
Essl passa quindi a indagare l’architettura del Gasometro di Broletto: all’esterno l’edera che cresce sulle parete ne dichiara lo stato di abbandono laddove l’interno restituisce tutto il fascino di uno spazio capace di catturare pure l’attenzione di un regista come Gabriele Salvatores che qui ha ambientato alcune scene dei suoi due film de “Il ragazzo invisibile”.
Attraversando alcuni siti industriali tra Servola e Opicina, lo sguardo della fotografa giunge in città, a Palazzo Carciotti, soffermandosi sullo scalone principale con le statue neoclassiche a ricordare una ricchezza che non c’è più e all’interno della cupola dove il pittore Vito Timmel tenne per qualche tempo il suo studio.
Proseguendo l’itinerario della mostra fanno rimpiangere svaghi e divertimenti passati le immagini di alcuni teatri come quello dello Steinhof a Vienna, progettato dall’architetto secessionista Otto Wagner, o quelli più recenti ma in ancora peggior degrado a Fiume e a Maiorca, insieme al Cinema Vittorio Veneto di Trieste.
Dagli ambienti orientaleggianti della piscina comunale di Lipsia all’hotel di Malinska, si arriva infine alle storie più inquiete che paiono aleggiare tra gli spazi degli ospedali psichiatrici, delle ex carceri o case di riposo: come a Poveglia, isola fantasma della laguna di Venezia posta di fronte a Malamocco, già sede di un lazzaretto alla fine del ‘700, oppure ancora allo Steinhof tra corridoi e porte dalle vetrate colorate, intonaci cadenti e orologi fermi da chissà quanto, per giungere nuovamente a Trieste, in via Tigor, e a Contovello.
Giornalista radiotelevisiva per televisioni in Austria e Italia, Barbara Essl tra il 2003 e il 2004 ha frequentato la Scuola per Fotografi a Parigi ed è stata allieva di Paolo Roversi. Da allora si è immersa nel mondo della fotografia e dell’arte tenendo diverse mostre in Europa, Stati Uniti e Cina. Attualmente vive tra Klagenfurt e Trieste, città a cui si sente particolarmente legata anche per la sua curiosa storia familiare.
A proposito di “Lost places” afferma: «In questo ciclo non mi interessa entrare nelle aree per evidenziare e far vedere l’abbandono, ma osservare gli spazi vuoti e ciò che tempo e natura determinano con l’assenza dell’uomo. Si possono riportare questo silenzio e questo rallentamento del tempo su pellicola o su scheda digitale? E che cosa rimarrà sulla terra dopo l’uomo?». E aggiunge: «Vorrei che il ricco patrimonio storico rimanga a monito per il futuro come testimonianza di destini personali e di storia d’architettura».
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