L’orrore dell’Olocausto rivive da oggi a Vienna nel Wiesenthal Institut

TRIESTE «Non ho mai smesso di cercare i colpevoli perché i processi sono necessari; perché spesso sono più importanti delle condanne; perché rappresentano una lezione di storia e sono parte integrante di una sorta di igiene della nostra società. Lo dobbiamo ai nostri figli» diceva Simon Wiesenthal, sopravvissuto al campo di concentramento di Mauthausen e passato alla storia del dopoguerra come “cacciatore di nazisti”, una denominazione che tuttavia non amava.
Cominciò la sua attività sulle tracce dei boia del Terzo Reich subito dopo la liberazione, lavorando per gli americani e creando una rete di informatori fatta soprattutto da chi come lui aveva subito le atrocità ordinate da Hitler contro ebrei, omosessuali, oppositori politici, Rom e Sinti. Un lavoro arduo e per anni portato avanti nell'ombra, ma che dagli anni 60, dal suo trasferimento da Linz a Vienna, attrasse sempre più riflettori e gli guadagnò sia apprezzamenti sia denigrazione: «La paura è un sentimento che mi è estraneo», diceva nonostante le frequenti minacce, intimidazioni e addirittura attentati che subì in sessant'anni di inarrestabile impegno quotidiano.

Proprio per questo, davanti alla porta del suo storico ufficio al numero 6 della Salztorgasse, nel cuore di Vienna, si avvicendavano ininterrottamente guardie armate. Un luogo simbolo, quella piccola sede operativa, che faceva impressione per l'estrema povertà degli arredi e che ora è stata chiusa definitivamente, sostituita da un intero edificio che da oggi ospiterà su quattro piani non solo l'archivio personale di Wiesenthal, ma molto altro.
Già negli ultimi anni della sua vita, dopo aver dato importanti contribuiti per assicurare alla giustizia criminali del calibro di Adolf Eichmann, Franz Stangl, Karl Silberbauer, Franz Murer, Josef Schwammberger, Wiesenthal si era ritirato dall'attività vera e propria di “ricercatore dei nazisti”, come preferiva essere chiamato, e aveva delegato al Centro Wiesenthal in Israele il compito di continuare a tracciare i carnefici nazisti ancora vivi, con la cosiddetta "operation last chance".
Riteneva che poiché all'inizio del terzo millennio i boia rimasti erano ormai giunti tutti inesorabilmente allo stadio finale della loro esistenza, fosse ormai arrivato il momento di affrontare la questione dell'Olocausto con uno sguardo più ampio. Nei primi anni 2000, decise quindi di dare il via ad un nuovo progetto per le generazioni future, un istituto a carattere scientifico sulla Shoah: «Lui morì nel corso di quella fase preparatoria, nel 2005, ma tre anni dopo fu possibile dare concretezza a quegli sforzi e nacque il Vienna Wiesenthal Institut für Holocaust Studien - ci spiega il direttore dell'istituzione, lo storico Béla Rasky - con tre pilastri portanti: documentazione, divulgazione e ricerca».
Finora ospitato in spazi angusti, dopo numerosi ostacoli da superare e ripetuti ritardi sulla tabella di marcia, l'istituto ha or. a traslocato in un antico edificio appositamente restaurato nel piccolo vicolo del Rabensteig, in una parte del centro di Vienna molto frequentata da viennesi e turisti per via dei numerosi ristoranti e locali, ma soprattutto contiguo alla sinagoga e agli uffici della Comunità Israelitica di Vienna.
Al piano terra, col titolo “Il futuro del ricordo”, una mostra permanente illustra l'incessante opera di ricerca di Simon Wiesenthal sui carnefici e sui crimini nazisti; il primo piano ospita l'archivio proveniente dall'appartamento della Salztorgasse, e dalla tarda primavera arriverà la parte degli archivi della Comunità Israelitica concernenti l'Olocausto.
Il secondo piano è dedicato alla biblioteca e alle sale di lettura, il terzo e quarto piano sono riservati ai ricercatori e agli uffici del personale.
Oltre al programma di conferenze per il grande pubblico, l'Istituto sta preparando il convegno internazionale che a giugno focalizzerà l'attenzione di un gruppo di studiosi su Hanna Arendt: «La nostra attività di divulgazione si attua su un ampio ventaglio di temi - prosegue Rasky - , così come aveva indicato Simon Wiesenthal: dalla storia dell'antisemitismo agli altri genocidi che hanno flagellato e flagellano il pianeta; dalla storia precedente all'Olocausto, al ricordo e all'elaborazione di quella terribile catastrofe, dal razzismo a studi sul lavoro forzato dei prigionieri e dei deportati durante il nazismo, un àmbito in cui c'è ancora davvero molto da sondare».
Fondamentale è il gruppo di otto ricercatori scelti ogni anno fra i numerosi candidati da tutto il mondo, che propongono progetti su aspetti sia inerenti all'Olocausto, sia su temi complementari, e poi producono pubblicazioni. Centrale e cruciale nell'attività dell'Istituto è il copioso lascito di Wiesenthal. Ad occuparsene è stata finora la storica Michaela Vocelka, che con il trasloco dalla Salztorgasse termina la sua collaborazione con l'istituto, ma rimane la più profonda conoscitrice di quel corpus di documenti.
«La parte più importante del lascito, già digitalizzata, riguarda naturalmente il nazismo: i documenti sui carnefici, sui crimini, ma anche sulla politica interna austriaca, per esempio le dispute con Bruno Kreisky o Kurt Waldheim - spiega Michaela Vocelka -. Poi c'è una parte per così dire più personale, con documenti sulla sua vita, i manoscritti dei suoi libri, la corrispondenza con gli editori, le registrazioni di suoi interventi alla radio o alla televisione, e anche questo è già catalogato.
C'è quindi un corpus di moltissime lettere dall'inizio degli anni '60 fino alla morte, che per ora è ordinato solo cronologicamente e alfabeticamente e deve essere ancora catalogato. E per finire, c'è una parte di documenti dal suo primo ufficio di Linz, che Wiesenthal diede al centro di Yad Vashem in Israele: noi abbiamo i microfilm e verranno digitalizzati e quindi inseriti nella sezione relativa al nazismo».
Molto resta dunque ancora da fare, ma il sostegno a tutto campo di un gruppo di istituzioni, dalla Comunità Israelitica al Centro di Documentazione delle vittime del nazismo, dal Döw (Centro di documentazione sulla Resistenza austriaca) al Dipartimento di Storia moderna dell'Università di Vienna, dal Museo Ebraico della capitale all'International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra), è una garanzia che siano finiti i tempi in cui Wiesenthal lavorava potendo far conto solo su donazioni, perché né la città di Vienna né lo stato austriaco lo finanziarono mai.
Riproduzione riservata © Il Piccolo