Loretta Napoleoni “Sul filo di lana” «La vita è come un lavoro a maglia»

«Siamo tutti sul filo di lana»: Loretta Napoleoni spazia nel tempo e nello spazio per raccontare l’arte del lavoro a maglia. Ma come sempre nei saggi dell’economista e scrittrice emerge l’approfondimento e la narrazione dei nostro tempi. Autrice di pamphlet taglienti sull’Italia e sull’Europa (Il contagio, Democrazia vendesi), Napoleoni ha studiato per molti anni legami tra economia e terrorismo (Economia canaglia). Oggi si ripresenta in libreria con un saggio molto personale “Sul filo di Lana” (Mondadori, pagg. 172, euro 20) dietro il quale c’è anche «un doloroso viaggio alla scoperta di sè».
Napoleoni presenterà il suo libro a Trieste domani alla libreria Lovat, alle 18, in dialogo con Carlo Marchi, insegnante e apprendista “tricoteur”.
Napoleoni, perchè dedicarsi a un saggio sul lavoro a maglia?
«Uscivo da una situazione personale difficile. Ho deciso di dedicarmi al racconto di un’arte straordinaria, che mi era stata insegnata da mia nonna. Un modo per riconnettermi e superare una fase molto difficile della mia vita ma anche per raccontare il lavoro a maglia attraverso i movimenti e la storia senza trascurare nulla. Sin dalle origini. Il libro alla fine è diventato la celebrazione di un’arte ma anche una metafora».
Può spiegare?
«Attraverso il lavoro maglia le donne sono riuscite a influenzare la storia. Una storia che transita dal Medioevo al Rinascimento con le corporazioni di lavoratori dell’arte della lana e il successo in tutta Europa dei filati e tessuti italiani. Passa per la Rivoluzione francese, con le sue tricoteuses che sferruzzavano sedute davanti alla ghigliottina, e per quella americana cui hanno contribuito le pioniere, le famose «api che sferruzzano», per arrivare alla Grande Guerra, quando gli indumenti di lana fatti a mano da chi stava a casa hanno contribuito a tener caldi i soldati in trincea. E poi le spie magliaie».
Racconti..
«Nella Seconda guerra mondiale le spie-magliaie si sono servite della maglia come di un codice segreto per inviare messaggi che non dovevano essere intercettati. E poi nella storia americana ci sono state le pioniere, le famose «api che sferruzzano» alla conquista dell’Ovest. Sono storie di non si parla mai perchè la storia la scrivono sempre i vincitori».
Il lavoro a maglia come metafora silenziosa dei movimenti di protesta?
«Basti pensare alle manifestazioni contro Trump delle donne con il cappello rosa. Oggi in tutto il mondo si assiste a fenomeni di mobilitazione spontanei come lo yarn bombing e l’urban knittering, veri e propri gridi di protesta pacifici contro le diseguaglianze di ogni tipo e in difesa dell’ambiente e contro il degrado. È un movimento moderno e attuale».
Nel libro lei avverte la necessità di riconnettersi. Il lavoro a maglia come metafora della globalizzazione?
«Oggi anche i banchieri di Davos hanno riscoperto il clima. Ma il summit di Davos è stato per decenni uno dei simboli della globalizzazione selvaggia che ci ha portato alla drammatica situazione attuale con l’aumento esponenziale delle diseguaglianze nel mondo. Lo sferruzzare anche all’uncinetto è il contrario della globalizzazione. I golf di plastica globalizzati costano due lire. Chi lavora a maglia usa la lana del suo Paese: i norvegesi quella norvegese, gli egiziani quella egiziana. La maglia a chilometro zero e a zero diffusione di carbonio. Insegna principi universali che ci impongono un’altro stile di vita. Un attività universale che viene condiviso in tutto il mondo allo stesso modo».
Un nuovo pensiero positivo?
«Sono convinta che ci sia una nuova consapevolezza sociale. Ho incontrato di recente le donne del Gomitolo rosa fondato che recuperano la lana e preparare golfini per i bambini nati prematuri. Esiste una rete filantropica. Il lavoro a maglia non salverà il mondo ma è sicuramente un mezzo attraverso il quale si può fare rete».
Viviamo in una sorta di agora virtuale dominato dai social. Cosa intende per “fare rete”?
«Significa creare momenti di aggregazione sociale ma anche politica. Esiste una nuova sensibilità globale. Ho constatato che molti giovani del movimento delle Sardine indossano sardine fatte all’uncinetto. Non è casuale. Si sono impadroniti della tecnica». —
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