Lorenza Mazzetti racconta lo zio Einstein in altalena e le lettere al caro Duce

la recensione
Gli occhi di un bambino vedono e registrano il mondo degli adulti con filtri che a volte appaiono meravigliosi e altre volte astratti ma che sempre comportano una lucidità disarmante. I momenti spensierati, i giochi, i misteri dei genitori e dei parenti, come anche le angosce, le paure e gli avvenimenti traumatici che capitano nell’infanzia colpiscono l’immaginazione e possono diventare l’ossatura di una storia personale in cui, pur cambiando le epoche e le latitudini, è facile rispecchiarsi. È il racconto di una vita intensa quello di Lorenza Mazzetti e del suo “Album di famiglia – Diario di una bambina sotto il fascismo” (La nave di Teseo, pagg. 242, euro 20) che raccoglie memorie e dipinti della scrittrice, regista e pittrice scomparsa lo scorso anno. La sua è un’infanzia particolare: rimasta orfana insieme alla gemella Paola, viene adottata dalla zia Nina che è sposata a Robert Einstein, il cugino di Albert, e vive in Toscana in una bella villa. Cresce con le cuginette e gli amici degli zii, in particolare il gruppo degli artisti legati ai Futurismo come Ugo Giannattasio e la sua famiglia. Grande curiosità suscita Albert Einstein che in America fa lo scienziato e quando va a trovare i parenti in Toscana va in altalena.
A Lorenza raccontano che a scuola Albert era insufficiente perché secondo gli insegnanti ci metteva troppo tempo a rispondere a differenza degli altri bambini: “Lo zio Robert dice che Albert ci metteva più tempo perché pensava prima di rispondere, non era come me che invece rispondo a tambur battente, e che quello di Albert era il primo segno di un genio”. Anche la sorella dello scienziato, Maja, si è innamorata dell’Italia e quando la piccola Lorenza va a trovarla nel suo casolare può mangiare tante fette di pane e marmellata. Mentre la zia è affettuosa, premurosa, sempre pronta a fornire fogli e colori per disegnare, a organizzare gite e a insegnare il francese e l’inglese, lo zio è silenzioso e solitario, si arrabbia quando viene rotto un bicchiere o si racconta una bugia, e in questi casi si rabbuia e la sera non augura la buonanotte. La governante Tata racconta alle bambine le storie di Gesù, della Madonna e dei Santi; in particolare Lorenza è colpita dal libro “Piccoli martiri” da cui si impara che ai martiri venivano strappati gli occhi, i seni o la pelle e poi di conseguenza si sente male. La casa è sempre piena dei fiori che vengono raccolti nei prati, papaveri, fiordalisi e rami di ginestra, e gli adulti discorrono in tedesco o in francese citando nomi incomprensibili come “Schopauer” e “Berson”: “Vorrei anche io saper conversare, ascoltare, rispondere, ascoltare e poi rispondere, invece noi bambini urliamo, non ascoltiamo, e chi urla di più ha ragione”.
Fatali arrivano il giuramento fascista da imparare e recitare a scuola come si trattasse di una filastrocca e le letterine che Lorenza scrive al Duce e a cui lui risponde puntualmente con le sue fotografie firmate. Ma all’ultima lettera, quella in cui la bambina sgrida Mussolini perché i fascisti hanno picchiato un amico di famiglia, non seguirà una risposta. Seguiranno invece momenti drammatici con i soldati tedeschi che occuperanno parte della villa e il successivo eccidio della famiglia Einstein. Personaggi, voci, paesaggi, sfumature tornano dal passato con una freschezza insolita nelle pagine di Lorenza Mazzetti e nei tanti dipinti, coloratissimi e vivi, che arricchiscono il libro.
Il racconto di una vita che riesce sempre a coniugare lo stupore infantile con l’acuta descrizione di un mondo alla deriva fino all’asciutto, glaciale finale. Un teatro di figure e di emozioni creato come struggente atto di resistenza a uno spettacolo reale fatto di abbandoni, morti, violenze e insensate terribili amarezze. —
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