Logge di pirati, attori e mercanti

La città dei traffici e della tolleranza religiosa era il luogo propizio al radicamento di una libera muratoria in linea teorica agnostica nelle questioni di politica e fede, pronta ad accogliere uomini di diversa origine
A sinistra, Nobiltà, Clero e Terzo Stato si affratellano sotto il segno massonico (“ L’Unione des Trois Ordres”, di Nicolas Perseval, 1789 circa).
A sinistra, Nobiltà, Clero e Terzo Stato si affratellano sotto il segno massonico (“ L’Unione des Trois Ordres”, di Nicolas Perseval, 1789 circa).

TRIESTE. Con editto del 2 giugno 1717 l'imperatore d'Austria Carlo VI proclamò la libertà di navigazione nell'Adriatico, sfidando le anacronistiche pretese di dominio della decadente Serenissima e preannunciando la concessione, di due anni posteriore, del porto franco di Trieste, considerato dalla storiografia il discrimine per eccellenza tra il passato nobiliare e il futuro borghese della città. Il 24 giugno 1717 le officine Goose and Gridiron, Crown, Apple Tree e Rummer and Grape si riunirono nella capitale britannica in una Gran Loggia, decretando la nascita della massoneria moderna.

Se alcune coincidenze possono anche dirsi significative, forse mai come nel caso dell'emporio adriatico e della massoneria due eventi contemporanei si sono manifestati all’insegna di una marcata laicità. La Trieste dei traffici e della tolleranza religiosa era il luogo propizio al radicamento della libera muratoria, in linea teorica agnostica nelle questioni di politica e fede, pronta ad accogliere uomini di diversa origine e credo, ma anche a escludere donne, servi e moralmente indegni.

Una prima loggia clandestina venne costituita nella città di San Giusto nel 1765, mentre quella denominata Alla Concordia fu promossa nove anni dopo da un ufficiale austriaco. Mutato il nome in De l’Harmonie et Concorde universelle, dal 1784 ne fu maestro venerabile il commerciante vallone François Joseph Emmanuel Baraux. La massoneria svolse nel centro litoraneo, ove confluirono individui di provenienze disparate per esercitarvi senza ostacoli il commercio, e godere della liberalizzazione dei culti progressivamente concessa, una funzione amalgamante.

Il tempio di Hiram divenne punto di ritrovo dell'emergente borghesia cittadina, un corpo sociale dinamico, trasversale alle nazioni e ai sottogruppi, con l'italiano quale lingua franca, senza che l'affiliazione ne livellasse cultura, orientamenti o senso d'adesione ad altre realtà associative. L'esperienza del viaggio, laboratorio per antonomasia di relativismo culturale, fu un fattore indispensabile per la diffusione della libera muratoria: marinai, diplomatici, soldati, pirati, attori, mercanti in costante movimento, permisero alla fratellanza di ramificarsi e prosperare, infittendo una rete di contatti saldati dalla mutua assistenza.

L'appoggio che individui sconosciuti si prestavano reciprocamente in nome della solidarietà massonica destò gli appetiti di cercatori di fortuna sotto mentite spoglie, al punto che nel 1786 la Gran loggia d'Inghilterra fu costretta a distribuire delle circolari avvertendo che degli impostori, mascherati da turchi, percorrevano il paese fingendosi fratelli in difficoltà per ricevere sussidi. Celebri viaggiatori resero all'ordine un servizio ambiguo, divulgandone la fama e insieme inquinandolo d'elementi artificiosi. Il conte di Cagliostro, che millantava d'aver visitato la Mecca e l'Egitto, acquistandovi una presunta scienza delle piramidi e la padronanza degli arcani della natura, fondò cellule massoniche spurie, ammantandole di decori e pratiche inventate di sana pianta. Il mistero che circondava l'organizzazione, cui si accedeva per mezzo d'iniziazioni segrete, fu abilmente sfruttato dall'avventuriero palermitano, che ne intuì il fascino intrinseco e la forza ammaliatrice.

E l’acqua, millenaria via di transito di genti, diventò l’efficace mezzo d’irraggiamento della massoneria, metafora di un cameratismo essenziale per chi traeva dal mare i mezzi di sussistenza, legato per altro alle metafore del viaggio connesse al percorso del neofita, alle prese, in certi riti, con simbologie nautiche e frasari tratti dal gergo marinaresco. Bollettini, giornali, volumi sette-ottocenteschi prodotti in ambienti massonici abbondano di testimonianze sul sentimento d'amicizia che univa i membri di logge e l'inestimabile valore, in prospettiva della salvezza personale, che l'affiliazione assumeva nei momenti drammatici del navigante. La sintonia che informava le relazioni massoniche era capace di travalicare separazioni d'ogni tipo, persino tra belligeranti. Il bisogno di lasciapassare convenzionali fu avvertito ovunque.

A differenza delle imbarcazioni istriane e triestine di piccolo cabotaggio, dette vele latine, viaggianti in età moderna e contemporanea lungo le coste orientali dell'Adriatico, alle navi di grandi dimensioni che superavano le Bocche di Cattaro a est e le coste della Puglia a ovest, spingendosi nel Mediterraneo, era necessario il possesso, oltre che degli incartamenti prescritti dall'editto politico di navigazione mercantile, emanato il 25 aprile 1774 per volontà di Maria Teresa, della patente della Camera aulica di Vienna e del firmano della Porta ottomana, una sorta di documento di legittimazione presso i pirati barbareschi. La memoria degli abitanti di borghi e paesi costieri dell'Adriatico ribolle del ricordo di catture, scontri, riscatti, fughe, castighi inflitti ai e dai predoni del mare, soprattutto turchi sbandati che avevano basi nascoste negli anfratti delle isole dalmate e ionie.

Nelle comunità dei pirati vigevano regole democratiche e forme di meritocrazia che avevano un corrispettivo nelle logge. Non stupisce pertanto il fatto che numerosi bucanieri caraibici fossero massoni. Similari furono le esperienze, nei secoli XVIII e XIX, del frequentante l'officina e di chi partiva per il Grand Tour, entrambi alla ricerca di dispositivi per l'ingresso in un'élite sociale e il raggiungimento di codici culturali esclusivi. Talvolta, invertendo le consuete direzioni di marcia, erano i giovani aristocratici italiani, abitatori di terre considerate mete imprescindibili dagli europei desiderosi di completare il proprio apprendistato educativo, ad attraversare il continente per arricchirsi culturalmente, ritornando in patria, non di rado, dopo aver ricevuto l'iniziazione massonica.

Gli intellettuali e i rampolli dei ceti abbienti inglese e francese che nel Sei, Sette e primo Ottocento scendevano nella penisola assetati di paesaggi suggestivi, i primi attratti in modo formidabile da Venezia, i secondi da Roma, vi accedevano dal Moncenisio e dal Brennero, lontani dalla rotta di Trieste. Il porto litoraneo, nondimeno, posto a corona dell'Adriatico, tra le regioni marittime più coerenti del Mediterraneo, città-tassello di un mosaico etnicamente frammentato ma geograficamente unitario, era il punto di transito d'idee, merci e uomini di sovente iscritti alle officine. Il forestiero che passava per Trieste, soprattutto se veniva dal nord, colpito dai diversi e pittoreschi costumi che vi incontrava, in particolare dei levantini lì residenti, aveva l'eccitante sensazione di trovarsi già in un Oriente fascinoso e conturbante. —

(1 - continua)

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