Lo Stabat Mater riapre il Verdi con un grazie agli eroi del Covid
TRIESTE. Sullo schermo due mani che si chiudono a formare un cuore, dalla platea un lungo applauso: un riconoscimento reciproco ha concluso la serata speciale con la quale il Teatro lirico Giuseppe Verdi ha riaperto le porte al pubblico. Dal palcoscenico è arrivato il dovuto ringraziamento a chi è stato impegnato in prima linea nella lunga sfida della pandemia, dalla sala l’incoraggiamento al mondo dello spettacolo, tra i più colpiti dalle restrizioni. Il concerto è stato dedicato alle vittime del Covid-19, ricordate all’inizio con un minuto di silenzio, e riservato a un pubblico specifico formato da medici, infermieri, operatori sanitari, forze dell’ordine e lavoratori della grande distribuzione.
A breve (dal 25 giugno) la sala, con la platea ridisegnata per garantire i necessari distanziamenti, accoglierà anche i fedelissimi con l’allestimento di Traviata, ma l’inno di Mameli ha dato stavolta il nuovo via alla stagione in un contesto commemorativo, per il quale è stato scelto lo Stabat Mater di Gioachino Rossini. Una composizione che in qualche modo sposa la destinazione del concerto nel testo e la vocazione lirica del teatro nello stile decisamente operistico, per il quale è stata criticata fin dalla prima esecuzione nel 1842. La commissione di questo brano certamente non ha appassionato Rossini, che ha cercato in alcuni punti di aderire al messaggio religioso, ma preferendo investire nella partitura la propria esperienza teatrale e trasportando il senso tragico su un piano che rende i solisti interpreti di una situazione ibrida. Per l’evento triestino sono stati scelti quattro cantanti che hanno tutti in comune una certa dimestichezza con il repertorio rossiniano, ma quattro differenti approcci al suo Stabat Mater.
Il soprano Anastasia Bartoli ha scelto di dare a una voce importante e a una solida gestione del fraseggio uno spazio drammatico equivalente, a differenza dell’immagine vocale più riservata del mezzosoprano Cecilia Molinari, improntata a una narrazione delicatamente espressiva. Il tenore Matteo Macchioni, noto anche ai non melomani per aver partecipato al talent show Amici di Maria de Filippi, ha scelto di focalizzarsi sulla voce, su un timbro smagliante e un fraseggio eroico ma a tratti ruvido. Il punto forte del basso Gabriele Sagona non è stato invece il volume, ma il desiderio di evidenziare il carattere più intimistico che riporta alla spiritualità testo, approccio facilitato anche da brani solistici tra quelli che maggiormente in questa composizione evocano l’ambito sacro, anche con forme responsoriali. Sono stati loro i protagonisti della serata, ai quali Rossini concede anche il rilievo assoluto nel suggestivo momento a cappella “Quando corpus”, prova insidiosa che imporrebbe di deporre le armi del solista.
Il direttore Valerio Galli ha scelto la via della compostezza, curando la misura in un’orchestra presente e desiderosa di esprimersi finalmente davanti a un pubblico. Le nuove regole di distanziamento nella disposizione ampia sul palcoscenico hanno deciso della resa sonora del coro, necessariamente costretto in una posizione che trasporta le voci soltanto in alcuni punti della sala. Piccoli inconvenienti rispetto al bel traguardo di poter ritornare a proporre al pubblico una stagione. —
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