Lo spirito ribelle degli Illiri: saccheggiarono anche Aquileia

Un popolo agguerrito che fece tremare greci e romani.  Si erano insediati su un vasto territorio compreso  tra l’Adriatico e il Danubio



Fecero tremare greci e romani, le loro navi da guerra ornate con una testa di serpente terrorizzavano i mari; erano ricchi, potenti e dinamici, avrebbero potuto essere uno dei grandi popoli della storia antica. Erano gli Illiri. Anche Tergeste e Aquileia assaggiarono la loro violenza, quando una tribù illirica, gli Iapogi, le saccheggiò. Per piegarli Roma ci mise duecento anni e quattro guerre, ma quando la regione sembrava pacificata, nel 6 d.C. scoppiò ‘La grande rivolta illirica’ (Leg, 246 pagg., 22 euro), secondo il titolo del saggio dello storico statunitense James R. Abdale. Eppure gli antichi resoconti sono scarni di notizie riguardo la guerra, come se i romani avessero preferito non parlarne, forse perché la vittoria costò loro molto in termini di soldi e di danaro, senza dare in cambio vantaggi sostanziali.

Ma chi erano gli Illiri? Compresa tra Adriatico e Danubio e tra Italia e Grecia, l’Illiria è un territorio vasto, corrispondente più o meno all’ex Jugoslavia, abitato da popoli la cui origine, non chiara, è forse da individuare nell’Anatolia. Divennero ricchi commerciando nel Mediterraneo - ad Aquileia gli Illiri si spingevano per vendere bestiame, pelli, tessuti, vasellame e schiavi e acquistare vino e olio - ma non disdegnavano le scorrerie piratesche. E qui per loro cominciarono i dolori perché finirono con l’entrare nella sfera di interessi dei Romani. Alla metà del III secolo a.C. prese il via la prima delle quattro guerre illiriche che tra il 229 e il 156 furono necessarie prima che i romani acquisissero il controllo di tutta la regione. Ma lo spirito ribello illirico non venne meno e la regione continuò a essere percorsa da un conflitto endemico. Roma tentò di imporre pesanti condizioni, tra cui la consegna di 700 bambini come ostaggio di pace, ma invano. Quando nel 6. d.C. scoppiò a Segesta una sollevazione di massa contro il dominio di Roma, Augusto radunò uno dei più grandi eserciti che avesse mai spedito in battaglia. L’impero doveva agire in fretta: i rivoltosi minacciavano le comunità romane stanziate in Illiria e, se fossero riusciti a imporre il loro controllo sulle strade di comunicazione, avrebbero potuto infastidire parecchio il commercio di Roma. Augusto nominò comandante in capo Tiberio, che scese in Illiria da nord, mentre dal mare sbarcarono altre legioni. La manovra a tenaglia funzionò e portò alla resa dei ribelli, che avvenne un anno dopo, anche se alcuni pannoni continuarono la loro lotta partigiana.

Si colgono nel volume, nel complesso di piacevole lettura, alcune evidenze che sembrano frutto di superficialità che non dovrebbero esistere in un saggio storico. Leggere che “Roma venne fondata dai divini gemelli Romolo e Remo”, ad esempio; ulteriore perplessità viene suscitata dalle fonti consultate, tra le quali spicca l’assenza di studi in lingua tedesca, che pure esistono, e numerosi.

Infine Abdale dichiara, senza spiegare da dove provenga la sua convinzione, di essersi dedicato a questo studio prima che gli antichi siti archeologici nei Balcani occidentali possano essere distrutti dal fanatismo islamico. —





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