Lo sguardo dissacrante di Martin Parr merita di fermarsi ai Topolini
TRIESTE Ha fotografato con ironia a tratti crudele l’umanità che si riversa sulle spiagge inglesi e puntualmente fa di New Brighton nei pressi di Liverpool, un unico palcoscenico di vanità, esibizionismi, cattivo gusto. Martin Parr, il fotografo inglese dell’Agenzia Magnum le cui immagini sono esposte al Museo Revoltella fino al 6 gennaio, nella mostra “Life’s a Beach” (la vita è una spiaggia) nel suo precedente libro “The Last Resort”, tradotto liberamente in “l’ultima spiaggia”, non ha avuto alcun riguardo per documentare i comportamenti eccentrici e talvolta trash dei suoi connazionali della “working class” che espongono al sole sulla spiaggia i loro corpi segnati dal tempo e dalle vicissitudini della vita. Il suo è stato un lavoro attento, preciso, da documentarista di vaglia. E non è un caso che questo suo lavoro costituisca il cuore della mostra proposta al pubblico triestino.
Il Comune e gli organizzatori del Trieste Photo Days 2019, se non l’hanno già fatto, dovrebbero proporre a Martin Parr di documentare col suo obiettivo a tratti spietato ciò che accade da anni e anni anche a due passi dal nostro centro città, tra la pineta di Barcola, i “Topolini” e l’ultimo tratto della scogliera che si protende verso il parco di Miramare.
Un reportage sul paesaggio sociale di chi frequenta da marzo a novembre questa sottile striscia stappata al mare potrebbe documentare criticamente come fa Martin Parr in “The Last Resort”, un aspetto caratteristico della vita triestina poco conosciuto da chi vive lontano dalla città. Fino ad oggi le immagini realizzate a Barcola hanno registrato episodicamente questo o quell’aspetto della vita sulla più frequentata “spiaggia” triestina. “Tuffi ai topolini”, “gara di clanfe”, “mareggiata autunnale”, “cani da salvamento”, “bellezze al sole”, “sotto l’ombrellone”, “tra gli alberi della pineta”. Non c’è stato finora nulla di organico, di ironico, di critico che archiviasse sulla pellicola o sui pixel di una memoria fotografica gli esibizionismi, gli occhiali da sole con la montatura bianco latte, le carni rugose e flaccide cucinate dal sole, i corpi esibiti senza ritegno e senza rispetto per se stessi e per gli occhi degli altri.
In questo paesaggio antropologico Martin Parr avrebbe da lavorare a lungo, cogliendo dettagli e sottolineando ciò che colpisce la sua sensibilità ma anche quella dei turisti che per la prima volta, dopo aver percorso la strada costiera, si affacciano sulla riviera di Barcola dai finestrini dei bus o delle loro automobili. Un immenso, pulsante concentrato di vita, di corpi, di abbronzature, di creme solari, di asciugamani, lettini, bottiglie di plastica, sacche e sporte per la merenda, scarpe e sandali allineati o spaiati, cestini per le immondizie. Dalla sua fotocamera uscirebbe una rassegna impietosa dei riti collettivi, dell’omologazione estetica dei nostri tempi. Martin Parr nei suoi tanti lavori ha fotografato non solo spiagge ma anche turisti in abiti dozzinali, automobili tutte uguali, divoratori di gelati, carte da parati e altri dettagli eloquenti di un desiderio compulsivo e irrazionale insito nella corsa disperata di tante tantissime persone verso il piccolo piacere estetico e gastronomico, nell’appagamento a ogni costo del proprio desiderio. Il suo obiettivo caustico e feroce ha inquadrato i riti della società di massa dedicandosi ad esempio ai viaggi degli inglesi all’estero per approvvigionarsi a prezzo favorevole di beni di prima necessità. Ma ha anche criticato i risultati devastanti sul piano sociale di dieci anni di thatcherismo e ha messo sotto accusa nel libro “Tutta Roma” del 2006 la superficialità tutta italiana dove il rapporto tra arte e consumismo ha favorito un’aggressione volgare e vorace alla nostra capitale.
Questa sua caratteristica, questa sua capacità di sottolineare il grottesco, ha innescato critiche, stroncature, risentimenti, dibattiti, anatemi e “scomuniche”. I suoi libri, cento e più, in cinquant’anni di carriera, non hanno solo diviso il pubblico ma anche la critica.
Martin Parr non ha mai fatto una piega e ha risposto per le rime anche a Henri Cartier-Bresson che non era entusiasta del suo lavoro. Tutt’altro. Sembra che lo avesse definito “un appartenente a un altro sistema solare” a causa del suo approccio assai poco rispettoso dell’umanità. Parr rispose che lui si limitava a registrare con l’obiettivo come la società stava cambiando. “Sono solo un testimone di questi tempi”.
Molti però continuano ad apprezzare il suo sguardo personalissimo e spesso dissacrate. Altri lo considerano ancora uno snob intellettuale con la “puzza sotto il naso”. Questi controversi giudizi e i dibattiti che ne sono seguiti, ne hanno favorito l’ascesa a livello mondiale, un’ascesa che lo ha portato a diventare dal 2014 al 2017 presidente della stessa Agenzia Magnum nonostante l’opposizione del fotogiornalista Philip Jones Griffiths. “Per me Martin Parr è l’avversario di tutto ciò in cui credo e spero, in cui la Magnum ancora crede”.
Ma Parr era passato di riconoscimento in riconoscimento tra le fiamme delle polemiche come una salamandra. Ancora prima della presidenza della Magnum, Parr aveva curato nel 2004 il prestigioso festival francese “Les Rencontres d’Arles”; nel 2010 il “Brighton Photo Biennal Festival”; nel 2016 la mostra “Strange and Familiar” al Barbican Centre di Londra. E nel 2013 ha insegnato all’Università dell’Ustler come “visiting professor” della cattedra di fotografia. —
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