Lo dicevano già nel ’300 che il vero buongoverno pensa al bene comune
Settimo appuntamento con il ciclo di lezioni “La Storia nell’arte”. Domani (domenica) alle 11, al teatro Verdi di Trieste, Maurizio Viroli parlerà su “Potere e giustizia. A partire dalle Allegorie del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti”. L’incontro, organizzato come sempre dagli Editori Laterza con il Comune di Trieste, Il Piccolo, Acegas Aps Amga del Gruppo Hera, Fondazione CRTrieste, sarà introdotto dal giornalista Pietro Spirito e potrà essere seguito con la diretta streaming sul sito www.ilpiccolo.it.
TRIESTE Nella mia lezione intendo sostenere che il ciclo pittorico di Ambrogio Lorenzetti (1258-1348) nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena è uno dei più importanti e affascinanti documenti del cristianesimo repubblicano del tardo Medio Evo. In quest'opera, completata fra il 1337 e il 1340, l'artista attinge sia dalla tradizione greca e romana, sia dalla tradizione biblica.
Lo possiamo vedere fin dall'immagine della Giustizia, che è il fondamento del bene comune e del buon governo. Essa s'ispira alla Sapienza divina che sta in cielo, alla medesima altezza delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità. Fra la Sapienza e la Giustizia, a ideale collegamento fra l'una e l'altra, stanno, come nella "Maestà" di Simone Martini, le parole del Libro della Sapienza: "Diligite iustitiam qui iudicatis terram". Per questo suo legame con la sapienza divina, la giustizia ha uno status quasi divino. Lorenzetti la definisce infatti "santa virtù", e da essa deriva la dimensione religiosa del governo repubblicano.
La religione repubblicana emerge anche dalla maestosa figura che domina la parete centrale. Essa rappresenta il Comune di Siena: la sua veste ha i colori della città, ai suoi piedi c'è la lupa che allatta i gemelli, chiaro riferimento alla vantata origine romana; è un vecchio, ovvero una persona sena; le lettere "C.S.C.V" gli circondano il capo sono l'acronimo di Commune Senarum Civitas Virginis; nella sfera che regge si distingue l'immagine della Vergine con il bambino Gesù.
Il capo del vecchio raggiunge in altezza le virtù teologali e le figure celestiali. L'insegnamento che Lorenzetti vuole impartire è che il Comune ben governato è sotto la protezione della Vergine, rispetta i principi della santa virtù della giustizia che discendono dalla divina sapienza.
Un ulteriore concetto di religione repubblicana riguarda il principio del bene comune. Su questo tema è aperta ormai da vent'anni un'affascinante disputa sul significato della maestosa figura. Nicolai Rubinstein ha sostenuto nel 1958 che l'immagine è la traduzione pittorica del concetto aristotelico del bene comune quale base e criterio del buongoverno "nel significato tomistico-aristotelico".
Contro questa interpretazione, Quentin Skinner ha sostenuto, in diversi studi pubblicati fra il 1987 e il 1999, che la maestosa figura non è la personificazione del bene comune bensì la rappresentazione simbolica del tipo di signoria che la città necessita per potere vivere in giustizia e godere del bene comune.
Rubinstein e Skinner interpretano di conseguenza in modo diverso anche la fondamentale iscrizione che Lorenzetti ha posto alla base della sezione centrale dell'affresco e che recita: "QUESTA SANTA VIRTU LADDOVE REGGE INDUCE ADUNITA LIANIMI MOLTI. EQUESTI ACCIO RICCOLTI UN BEN COMUN PERLOR SIGROR SIFANNO".
Secondo Rubinstein la scritta afferma che ovunque la santa virtù della giustizia domina, essa induce molti animi all'unità e che questi in tal modo raccolti si danno quale loro signore un bene comune. Per Skinner l'iscrizione afferma invece che "ovunque la santa virtù della giustizia governa, essa induce molti animi ad unità, e quelli uniti in tal modo, creano per mezzo del loro signore un bene comune.
A mio giudizio la maestosa figura centrale rappresenta il bene comune, oltre a essere la rappresentazione del Comune sovrano e giudice. La prova più importante è l'iscrizione che Lorenzetti ha posto alla base della rappresentazione della tirannide e descrive cosa avviene quando la giustizia è calpestata e legata e quando i cittadini, invece di tendere al bene comune, perseguono il loro bene privato: "LADOUE STA LEGATA LA IUTITIA. NESUN ALBE(N) COMUNE GIAMAY / SACORDA. NE TIRA ADRITTA CORDA. P(ER)O CONVIE(N) CHE TIRANNIA / SORMONTI".
Dove la giustizia è sovrana, i cittadini si accordano per il bene comune e godono del buongoverno; dove è oppressa, i cittadini non si accordano al bene comune e sorge la tirannide con il suo orrido corteo di mali. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro, e per serbarlo tale dobbiamo interpretare la maestosa figura come la rappresentazione del bene comune e leggerla come la trascrizione pittorica di un principio politico che deriva dalla tradizione aristotelica.
Se questa interpretazione è giusta, possiamo cogliere un ulteriore significato della maestosa figura che ha un'importanza notevole dal punto di vista della nascita della religione repubblicana. Ancora una volta il contesto aristotelico si rivela guida preziosa.
Nelle prime pagine dell'Etica Nicomachea (1094 1-10), Aristotele scrive che il bene comune non è soltanto migliore, ma addirittura più divino del bene individuale: "melius vero ac divinius", come leggiamo nella traduzione latina di William di Moerbeke che circolava al tempo di Lorenzetti. Aristotele vuol dire, spiegò Tommaso nel suo commento, che il bene comune della città è più divino del bene individuale perché è simile a Dio in quanto causa universale di tutti i beni.
L'idea che il bene comune è divino divenne quasi un luogo comune del pensiero politico repubblicano del XIV secolo e da questa idea derivava la convinzione che i magistrati che servono il bene comune si rendono simili a Dio.
Il Lorenzetti traduce figurativamente questi concetti elevando la figura centrale all'altezza delle virtù teologali e ponendole sul capo, a guida e ispirazione, la caritas, la più alta di tutte le virtù. Benché sia virtù teologale ha un contenuto mondano, e un forte significato erotico.
Lorenzetti la dipinge di rosso, il colore della passione amorosa, forse per ispirazione di Dante: "tanto rossa / Ch'a pena fora dentro al fuoco nota" (Purgatorio, XXIX, 121). È velata, per essere più seducente. Nella mano destra tiene una freccia rivolta verso il basso, uno dei tipici simboli dell'amore che trafigge il cuore. Sulla sinistra tiene un cuore in fiamme, a indicare la carità nel significato di amor concupiscentiae, vera e propria passione erotica.
Per fare trionfare il bene comune e salvare la città dagli orrori della tirannide, Lorenzetti ammonisce, è necessario che chi governa sia guidato dalle virtù politiche ma soprattutto da una carità che gli fa amare il bene comune con passione intensa. La figura centrale dell'affresco non esprime soltanto la maestà del governo repubblicano, ma anche la sua sacralità.
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