L’Itis celebra due secoli di impegno dalla parte dei soggetti più fragili

TRIESTE Duecento anni fa, per iniziativa di un gruppo di facoltosi imprenditorie e commercianti triestini capitanati da Domenico Rossetti nasceva quello che oggi è l’Itis, azienda pubblica per i servizia alla persona. Allora si chiamava Istituto generale dei poveri di Trieste, e la sede era in Contrada del Lazzaretto nuovo, oggi viale Miramare, in un edificio di proprietà del Comune, l’ex caserma Steiner, capace di 400 posti, poi trasferito, nel 1852, provvisoriamente, in via Settefontane, in quegli anni Contrada di Chiadino. Ed è allora che venne progettato il complesso come si vede oggi. L’inaugurazione avvenne il 12 dicembre del 1862. La sua capacità era raddoppiata rispetto alla sede originaria: vi potevano trovare ricovero 800 persone.
Nel 1871 - e fino al 1922 - una parte del comprensorio fu adibita a Riformatorio, destinazione testimoniata ancor oggi dalla presenza, lungo il lato che insiste su via Pascoli, di un fossato, la cui funzione era di impedire la fuga degli ospiti più pericolosi. Una casa di correzione vera e propria. Nel 1902 furono inaugurati i primi alloggi popolari, in via Pondares 5, con 280 posti letto e servizi igienici a tariffe minime e, tre anni dopo, il Gaspare Gozzi, con 500 posti letto. Negli anni Venti l’Istituto ebbe la qualifica di “Ipab”, istituzione pubblica di assistenza e beneficienza, in base alla legge Crispi.
I bombardamenti della seconda guerra mondiale non risparmiarono l’edificio: ci furono tre morti, due dipendenti dell’Istituto e un assistito. Nel 1966 i minori furono trasferiti al collegio San Giusto, realizzato sempre all’interno del comprensorio, ma separato dalla parte riservata agli anziani, denominata “Pia Casa”. Nel '74, in conseguenza dell’allungamento della vita media delle persone, fu aperto il reparto speciale per “bisognosi di un’assistenza materiale continua”. Nel '76 nacque l'Itis, su decreto del presidente della giunta regionale, perché nel frattempo l’ente era passato sotto l’egida dell’ente pubblico. Nello stesso anno fu chiuso il Collegio San Giusto. Da quel momento l’edificio ospita solo anziani.
Oggi l’Itis accoglie quattrocento ospiti in nove “residenze” e altrettante persone che si occupano di tutti gli aspetti della gestione dell’Itis, l’istituto che ha raccolto in via Pascoli l’eredità dell’Ente comunale assistenza. Una lunga storia, dunque, quella dell’Istituto, che celebra i suoi primi duecento anni con una serie di inziative, tra cui una mostra fotografica curata da Caludio Ernè che verrà inaugurata oggi alle 17 nel famedio. Si tratta di settanta fotografie che, spiega Ernè, «vogliono raccontare i numerosi aspetti questa istituzione: dall’entrata nell’edificio, al primo approccio con le assistenti sociali, il guardaroba, le cucine, i servizi infermieristici, il momento del pasto e quelli della ricreazione e degli spettacoli, il servizio religioso, gli incontri al bar, la biblioteca- sala di lettura, la fisioterapia. Ma anche le innovazioni tecnologiche che stanno facendosi largo all’Itis».
Un vero e proprio “documetario” realizzato da Ernè tra agosto e settembre, «tenendo conto in ogni immagine delle regole restrittive della “privacy” e soprattutto della dignità delle persone più fragili». «Il lavoro - spiega ancora il curatore - non è stato facile ma riempie un vuoto nell’informazione visiva che si protraeva da anni e anni». L’ultima campagna fotografica realizzata all’Itis, allora Congregazione di Carità, risale infatti ai primi anni Trenta e partendo da quelle antiche lastre lo stabilimento grafico di Saul Modiano realizzò una serie di cartoline. «Era l’ultima documentazione organica disponibile - commentaErnè -: ora a duecento anni dalla nascita di questa istituzione ne esiste una nuova che testimonia gli enormi passi in avanti compiuti dall’assistenza pubblica e dal rispetto per i più deboli».
Accanto alle foto di oggi, la rassegna affianca immagini storiche in bianco e nero. Sono foto che Erné ha scovato frugando negli archivi dell’Itis, risalgono a un periodo che va dagli anni Venti ai Quaranta, e sono opera di Francesco Penco, uno dei maggiori fotografi triestini della prima metà del Novecento. «Col suo apparecchio e i suoi occhi curiosi - spiega Ernè - Penco ha raccontato i principali avvenimenti del più tumultuoso periodo della Storia non solo cittadina». Le fotografie esoste nela mostra all’Itis «mostrano i numerosi aspetti della vita che si svolgeva all’interno di quello che all’epoca era l’Istituto dei poveri». La foto trivare da Ernè negli archivi mostrano le cucine, la preparazione del cibo, i refettori, l’infermeria, il teatrino, la visita di un personaggio importante come Amedeo duca d’Aosta accompagnato dalla moglie Anna d’Orleans».
Ma il suo obiettivo si è fermato soprattutto suoi volti di chi era costretto a vivere per povertà e indigenza in questo enorme edificio. Ritratti di anziani, ma anche dei ragazzini orfani o senza famiglia, «che rappresentano, proprio per il periodo in cui sono stati realizzati, un tentativo di fotografia sociale, d’interesse reale per il mondo degli ultimi. Altri fotografano manifestazioni roboanti, adunate oceaniche, discese in mare di corazzate e sommergibili. Francesco Penco ampliava il suo raggio d’azione guardano anche alle classi subalterne, agli anziani, ai ragazzi abbandonati. —
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