L’Italia era a luci rosse con i primi porno-divi che salvarono il cinema

di Roberto Carnero Ilona Staller, in arte Cicciolina, Moana Pozzi, Rocco Siffredi erano ancora di là da venire. Quando in Italia sbarca il cinema pornografico, tutto si svolge piuttosto in sordina,...
Di Roberto Carnero

di Roberto Carnero

Ilona Staller, in arte Cicciolina, Moana Pozzi, Rocco Siffredi erano ancora di là da venire. Quando in Italia sbarca il cinema pornografico, tutto si svolge piuttosto in sordina, senza dive, divi e divisimi, su set improvvisati nelle abitazioni private di registi e attori, con stratagemmi truffaldini per aggirare la censura, come quello di presentare all'apposita commissione per il visto d'approvazione copie dei film prive delle scene spinte o addirittura, come avveniva in diversi casi, film completamente diversi (e ovviamente più casti) di quelli che poi sarebbero stati distribuiti nelle sale.

Eppure quei primi anni, dal 1979 al 1984, rappresentano l'epoca d'oro per questo genere di cinematografia nel nostro Paese. È per questo che proprio su tale periodo, sinora il meno studiato e quello dai contorni più vaghi, si concentra un ampio e approfonditissimo volume di due critici, Franco Grattarola e Andrea Napoli, “Luce rossa. La nascita e le prime fasi del cinema pornografico in Italia” (prefazione di Renato Polselli, Iacobelli Editore, pagine 494, euro 29,00). Il volume presenta, oltre ad alcuni saggi di inquadramento generale, un'esaustiva filmografia, nonché schede monografiche sui principali interpreti (donne e uomini) e sui film più importanti che hanno caratterizzato un’intera stagione molto prima dell’avvento del porno sul web.

«Sul cinema a luci rosse - spiega Franco Grattarola - esistono ormai numerosi e validi studi, usciti anche in collane e in riviste prestigiose. Mancava però, sinora, un saggio organico proprio sui primi anni del cinema hard in Italia». Nel documentatissimo lavoro di Grattarola e Napoli si delinea un quadro di estremo interesse storico e sociologico.

Se oggi il mercato dell'hard (sia come produzione che come consumo) è un mondo a sé, che ha viaggiato prima in vhs e oggi continua in dvd e soprattutto su internet, con tutta una serie di problemi per la crisi di un certo sistema produttivo, ai suoi albori il cinema porno in Italia era né più né meno che una branca tra le altre del mondo del cinema vero e proprio.

«In concomitanza con la crisi dell'industria cinematografica che si manifesta negli anni Settanta - dice ancora Grattarola - diversi produttori comprendono che l'hard può essere il genere in grado di salvarli dal fallimento. Perché è chiaro che di fronte a produzioni miliardarie d'oltre Oceano come, poniamo, Guerre stellari, la nostra industria del cinema non aveva la forza per porsi in competizione. Ecco allora che, visto l'interesse per questo genere allora nuovo (se si esclude una produzione clandestina che c'era sempre stata, a partire dall'invenzione dei fratelli Lumière), nella pornografia si intravede una possibilità di sopravvivenza. Si parla di un settore che tra produzione, sviluppo e stampa delle pellicole, doppiaggio ecc., dava lavoro a qualcosa come 10-15 mila addetti».

Insoma un settore importante, destinato a diventare un fenomeno sciale e a caratterizzare parte della società di quegli anni.

Lo sdoganamento delle pellicole hard - che in Italia avviene appunto a partire dal 1979 (sette anni dopo l'uscita, negli Stati Uniti, del celebre lungometraggio Gola profonda, il film che segna l'inizio della "pornografia di massa") - salva dalla chiusura anche centinaia di sale di proiezione: «Erano spesso sale di seconda visione, che si convertono rapidamente al nuovo genere, assai richiesto da un pubblico incuriosito. A metà degli anni Ottanta, e ancora successivamente per circa un decennio, le sale a luci rosse in ogni grande città, come Milano, Roma, Genova, Torino, si contavano a decine. Mentre in provincia si assisteva a un altro fenomeno: molti cinematografi proiettavano film hard dal lunedì al giovedì, per poi offrire nei weekend film per tutti. Tra le città italiane, Trieste ha un primato, perché fu qui che, al Filodrammatico, fu data la prima proiezione italiana di Gola profonda».

Secondo gli autori del saggio in questo c'è però un aspetto paradossale: se è vero che l'hard ha "salvato" per alcuni anni diverse sale, sarà poi questa scelta dei gestori a determinare in seguito il loro degrado e la loro chiusura definitiva, poiché, con l'avvento dei videoregistratori e della possibilità di una fruizione domestica di questo genere di film, dalla metà degli anni Ottanta le sale a luci rosse cominciano a diventare luoghi di incontri clandestini, spaccio e a volte anche prostituzione. Così, per molti cinematografi, il passaggio all'hard diventa, in uno squallido copione sempre uguale, il passo che precede l'inesorabile cessazione dell'attività.

Ma chi furono i protagonisti di quella stagione pionieristica delle luci rosse nostrane? Alcuni registi furono assai prolifici e con ciò conquistarono una propria fama sul campo: tra loro, Aristide Massaccesi (conosciuto sui set come Joe D’Amato), Arduino Sacco, Franco Lo Cascio, Lorenzo Onorati e - caso più unico che raro - una donna, Giuliana Gamba.

Quanto agli interpreti, sia maschili che femminili, nomi come Laura Levi, Guia Lauri Filzi, Sabrina Mastrolenzi, Giuseppe Curia, Paolo Gramignano o Giuliano Rosati non dicono più nulla, ma allora ebbero una loro notorietà.

«Sarà Moana Pozzi, all'inizio degli anni Novanta - spiega ancora Grattarola - a sdoganare presso il grande pubblico e nei media la figura della pornostar, rilasciando interviste, intervenendo a commentare fatti di attualità come opinionista nei salotti televisivi, insomma assurgendo, molto più di quanto aveva fatto la stessa Ilona Staller, a diva dell'hard per famiglie. Gli attori e le attrici della fase iniziale dell'hard provenivano in parte da una ricca borghesia moralmente disinibita, e costoro vissero quell'esperienza in maniera trasgressiva e tutto sommato leggera».

«Altri invece - aggiunge Grattarola - forse la maggior parte, venivano da un sottobosco di attori di seconda fila di b-movie e di comparse oppure si accostarono all'hard per semplice necessità economica, vedendovi una possibile fonte di guadagno, per poi finire, magari dopo una breve stagione sui set, anche in situazioni di marginalità sociale, nella tossicodipendenza o in una criminalità di piccolo cabotaggio».

Tuttavia una diva già allora si affermò: parliamo di Marina Hedman, in arte Marina Lotar, una bella signora svedese dal fisico prorompente, bionda e con gli occhi azzurri. La sua fama è legata anche al cognome del marito (ex marito, in realtà, quando si mise a recitare in questo genere di film), il giornalista Paolo Frajese, dal quale in precedenza aveva avuto due figli. Una scelta professionale che il famoso mezzobusto Rai, ormai scomparso, all'epoca non prese affatto bene.

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