Liana Orfei, dal tendone al cinema una vita tra animali e spettacolo



Una fiaba, la fiaba della bambina nata con la camicia della Madonna. È “Romanzo di vita vera. Io non sono, tu chi non sei?” (Baldini+Castoldi) di Liana Orfei. Lei, la bionda regina del Circo, di una famiglia da sempre sinonimo dell’arte circense in Italia, ci porta dentro la sua storia, scegliendo però una narrazione in terza persona, che non accende la magia ma delinea una distanza inusuale col lettore.

Tutto inizia dal suo arrivo in una famiglia piena d’amore e di attenzioni per una bambina bisognosa di cure molto particolari per lungo tempo. Una famiglia che gira l’Italia con un tendone che per anni rappresenta casa, scuola, luogo in cui giocare, fonte di gioie e di grandi sacrifici.

Ma Liana Orfei non è solo artista circense, nella vita è stata molto altro, un’attrice cinematografica e teatrale, una protagonista di fotoromanzi e una performer apprezzata in grado di recitare e di cantare. Si racconta con grande semplicità, sottolineando il profondo amore per la famiglia e i fratelli Nando e Rinaldo e il legame con il circo, che non abbandona mai, nemmeno quando il cinema e la televisione continuano a reclamarla.

Ed è proprio questo, forse, il cuore del libro: la straordinaria ascesa di tre fratelli e il legame affettuoso creato con gli animali. Una convivenza pacifica, non sempre priva di episodi da brivido, ma fondata su un mutuo rispetto. Liana ama gli animali e riesce in molti casi a leggere le loro intenzioni. Un amore grande, incondizionato, ribadito in tantissimi aneddoti, che vogliono dimostrare con forza l’inconsistenza di molte delle accuse ricevute dai circhi negli ultimi anni.

“La gente del circo è composta da tre quarti di aria pura, di sole e di tanti colori e da un quarto di presunzione di avere sempre ragione”, scrive Liana. Chissà che in questa frase non si nasconda la ragione della frattura familiare. Nando e Rinaldo hanno dato vita a due compagnie diverse lasciando fuori dai giochi lei, la sorella famosa spesso a Roma o altrove per recitare.

Liana non è un personaggio di Woody Allen. Quando le viene suggerito di vedere uno psicologo si affretta a scrivere, sempre in terza persona, “prescrizione che naturalmente lei ignorò”. In compenso ha sempre avuto la famiglia del circo ad aspettarla e accoglierla. “C’era qualcosa che li teneva legati a quella vita dura e ingenerosa ma capace di donare felicità e libertà dai legacci burocratici, dall’ipocrisia necessaria per vivere fuori”. Libertà che rende sempre i circensi diffidenti verso gli “altri”, ma accoglienti con coloro in grado condividere il loro cammino, come fece Luciano Frascinelli, nobile di Gradisca, giornalista e scrittore, che oggi riposa nel cimitero degli Orfei.

Ci sono tanti nomi nel romanzo, nomi come quello di Federico Fellini, o di attori, italiani e internazionali, con cui Liana ha condiviso i set, ma anche gente comune, addestratori, collaboratori che hanno fatto parte della sua vita.

Il racconto si infervora su alcuni temi, è meno accattivante quando invece si tratta di parlare degli uomini amati o di scegliere gli aneddoti legati ai molti viaggi. Non è la terza persona in sè a suonare strana, quanto i pensieri che vengono attribuiti alla protagonista, con una forzatura spesso evidente.

Pagina dopo pagina scopriamo una Liana imprenditrice, sognatrice e impavida viaggiatrice, donna che dà di sé molte definizioni, ma che forse avrebbe dovuto aprire di più il cuore per arrivare con maggiore efficacia al lettore. —



Riproduzione riservata © Il Piccolo