Lezioni di Storia: il potere della monaca di Monza domenica al teatro Verdi di Trieste

Domenica al teatro Verdi il terzo appuntamento della rassegna della Laterza. Lisa Roscioni racconta la verità storica sul noto personaggio manzoniano

La Signora di Monza: dipintodi Giuseppe Molteni (1847), basato sul personaggio de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni
La Signora di Monza: dipintodi Giuseppe Molteni (1847), basato sul personaggio de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni

Donna di potere, a tratti arrogante e persino violenta. Marianna de Leyva, meglio nota come la Monaca di Monza, era in realtà molto diversa dal ritratto che ne ha fatto Manzoni nei Promessi sposi.

Lisa Roscioni, docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma, sorprenderà sicuramente il pubblico, nella Lezione di Storia in programma domenica 19 gennaio alle 11 al Teatro Verdi (ingresso libero), proponendo un ritratto inedito della religiosa.

Il ciclo di Lezioni, ideato dagli editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste e organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste e il sostegno di Trieste Trasporti, Media partner “Il Piccolo”, passa in rassegna quest’anno una galleria di donne forti, che hanno saputo conquistare un posto di rilievo nella società del loro tempo, spesso dovendo lottare con gli uomini, e da qui il titolo scelto per il ciclo, La guerra dei sessi. Marianna de Leyva questo posto se l’è conquistato con un percorso di peccato ed espiazione.

Professoressa Roscioni, cosa sappiamo della Monaca di Monza?

«Al di là di Manzoni, che con la celeberrima frase “la sventurata rispose” cala un velo di reticenza sulla sua figura, Marianna de Leyva è un personaggio storico realmente esistito. Noi conosciamo la sua vicenda perché c’è stato un processo nel quale si è ricostruita la sua relazione sacrilega con un suo vicino, una relazione da cui è nata una bambina. Il processo ci restituisce un personaggio con molte luci e molte ombre. Non è solo una vittima, è una donna che cerca di affermare sé stessa oltre ciò che il destino ha stabilito per lei. È una donna a tratti arrogante che fa le veci del padre che è il feudatario di Monza».

È una donna di potere.

«Di grande capacità di affermazione di sé al di là delle costrizioni e delle regole, una donna molto forte e dominante diversa dallo stereotipo che conosciamo».

Manzoni come aveva conosciuto la sua storia?

«Ne aveva parlato un cronachista del seicento, Giuseppe Ripamonti, che era segretario del cardinale Federico Borromeo, che aveva fatto condannare Marianna e l’aveva vista quando era ormai anziana».

Perché Marianna entra in convento?

«Non è che le giovani donne appartenenti alle classi nobili godessero di molta libertà, le alternative erano il convento o il matrimonio, e non è detto che il convento fosse la soluzione peggiore rispetto a un matrimonio che non era certo d’amore. Le donne non decidevano più di tanto il loro destino e quindi il convento poteva forse rivelarsi una soluzione più accettabile. In convento si poteva studiare, fare musica e leggere; si pensi come sono stati importanti per le vite culturali di quelle città. ai conventi napoletani o veneziani del Seicento. Marianna viene costretta alla vita monacale per motivi patrimoniali. Entra in convento a tredici anni e prende i voti a sedici».

Le famiglie nobili cosa ci guadagnavano da una figlia monaca?

«Prestigio. Avere una figlia badessa di un covento era un elemento di prestigio. Il potere di Marianna poi travalicava il convento perché esercitava il potere facendo le veci del padre, che era un importante nobile spagnolo feudatario di Monza. Lei poteva esercitare un potere sia interno che in qualche modo esterno».

Chi era l’uomo con cui Marianna ebbe una relazione?

«Si chiamava Gian Paolo Osio, era un vicino di casa. Non era di famiglia nobile, anche se era in buoni rapporti con l’alta società milanese del temo. Era uno che considera il convento una specie di “terreno di caccia” per le sue conquiste. Tant’è vero che Marianna e Gian Paolo si conoscono perché lui insidia una delle educande del convento. Marianna de leyda aveva il compito di seguire le educande, che erano destinate o a prender i voti o al matrimonio. Osio insidia una di queste fanciulle, lei se ne accorge e lo rimprovera. Così inizia una relazione che durerà otto anni».

Quanti ne sono a conoscenza?

«Diciamo che era un fatto noto. Anche perché fin che la storia regge ha due gravidanze, una non conclusa e nella seconda partorisce una bambina, che viene presa in carico da Osio e che lei può incontrare. A riprova che conduceva dentro il convento una vita relativamente libera, senza osservare le regole della vita comune che nei conventi erano obbligatorie».

Casi analoghi sono successi anche in altri conventi?

«Me ne sono occupata nel mio libro sulla badessa di Castro, una piccola città a nord del Lazio. La badessa ebbe una relazione con il vescovo di Castro da cui nacque un figlio. Stendhal ci scrisse un romanzo breve».

Cosa affascinò Manzoni da farne un personaggio dei Promessi sposi?

«Il percorso di espiazione della monaca di Monza. Sappiamo che fu condannata a essere murata viva, ma lei sopravvive all’immurazione e il suo personaggio si capovolge. Uno si immagina che compie una serie di delitti e muore in cella travolta dai rimorsi, invece dal massimo del crimine si passa al massimo dell’espiazione, mettendo in luce un carattere molto forte con cui afferma sé stessa. Una forza interiore che la farà sopravvivere a tutti gli altri personaggi che hanno attraversato la sua vita, fino a quando morirà, a 74 anni».

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