Lezioni di Filosofia: la Temperanza è l’arte del confronto contro l’estremismo

Domenica al Teatro Verdi Giulio Giorello parla della virtù cardinale contrapposta alla prevaricazione
La fila per entrare al teatro Verdi per la seconda lezione di Filosofia
La fila per entrare al teatro Verdi per la seconda lezione di Filosofia

Secondo appuntamento domenica 25 marzo con le Lezioni di Filosofia, nuova serie di quattro conferenze dedicate a “Le 4 virtù cardinali”. Alle 11, al Teatro Verdi (e non nella Sala del Ridotto), a ingresso libero fino ad esaurimento dei posti, introdotto da Alessandro Mezzena Lona, Giulio Giorello parlerà su la “Temperanza”. Il ciclo delle Lezioni di Filosofia, ideato dagli Editori Laterza, è organizzato dal Comune di Trieste, assessorato alla Cultura, con il contributo della Fondazione CRTrieste e la media partnership de “Il Piccolo”. Anticipiamo di seguito un brano dell’intervento di Giulio Giorello.

di GIULIO GIORELLO


Parlare della temperanza intimidisce, perché a pensarci bene ciascuno di noi è almeno un po’intemperante e tradisce, dunque, questa meravigliosa virtù. Una virtù che sta a fondamento del vivere civile e su cui hanno riflettuto, nel corso dei secoli, le discipline più varie. L’arte figurativa, per esempio, ci ha consegnato spesso un’immagine idilliaca della temperanza. Sono innumerevoli i dipinti che ne propongono una rappresentazione allegorica: il volto sereno di una donna, lo sfondo quieto di una campagna, il cielo azzurro, atmosfere di pace ed equilibrio...

Giulio Giorello
Giulio Giorello

Ma la storia, nella sua viva concretezza, restituisce un’immagine assai più contrastata. In quel momento meraviglioso della cultura europea che fu l’Illuminismo d’Italia, Verri, Beccaria e i grandi economisti napoletani diedero straordinari esempi di temperanza. Rivendicarono libertà d’azione e di pensiero; ma per farlo ci volle estremo coraggio per resistere all’establishment del tempo. E così un giorno, interrogato sulle fonti delle proprie convinzioni in materia di ragione ed equilibrio, di pace, pluralismo politico e libertà religiosa, Voltaire rispose: “Signori, leggete Beccaria! Prendete in mano quel mirabile libretto che si intitola Dei delitti e delle pene!”.

Voltaire aveva ragione; ma gli esempi di temperanza, in Italia, non muoiono con il Settecento. Oltre a Beccaria e a Verri, non dobbiamo ignorare che il nostro paese ha conosciuto altri eccezionali esempi di temperanza, esempi di lotta senza sosta perché lo spettro delle garanzie fosse ampliato. L’elogio della prudenza politica, la difesa del coraggio civile, il senso di giustizia e, infine, la temperanza come rispetto della libertà degli altri e della propria sono anche le virtù ispiratrici di Carlo Cattaneo e di Luigi Einaudi.

Il programma delle Lezioni di Filosofia aggiornato dopo il cambio sede
Il programma delle Lezioni di Filosofia aggiornato dopo il cambio sede

Le “Lezioni di filosofia” si spostano al teatro Verdi di Trieste
La lunga fila di domenica fuori dal Teatro

Grandi maestri di educazione civica e attenti studiosi, entrambi, della storia inglese e americana. Perché la storia moderna della temperanza comincia con la rivoluzione inglese, detta al tempo “grande ribellione”. All’epoca John Milton non sfuggì allo scontro tra il parlamento e la monarchia. Il grande poeta inglese si schierò al fianco di Oliver Cromwell. Egli fu, dunque, un uomo di guerra: la cosiddetta “guerra delle tre corone”, che coinvolse Inghilterra, Irlanda e Scozia. E nel 1644, al culmine di un conflitto interno che vedeva Londra armarsi per una strenua resistenza contro le truppe del re appostate a Oxford, diede alle stampe un libretto intitolato Areopagitica. Si tratta di una brillante difesa della libertà di stampa contro gli abusi della censura, nella quale spicca un curioso e divertente elogio della temperanza: «Che gran virtù è la temperanza, e quale grande importanza ha essa in tutta la vita umana!

Eppure Iddio non ha prescritto nessuna legge o regola speciale a suo riguardo, affidando l’uso di questa sì grande facoltà interamente alla discrezione di ciascun uomo maturo. Giacché in tutte quelle azioni, che, anziché uscirne, entran nell’uomo e non posson quindi contaminarlo, Iddio non ha voluto sottoporci a norme definite e tenerci in una perpetua minorità, ma ci ha invece affidato il dono della ragione, affinché potessimo scegliere da per noi stessi. Ci sarebbe poco bisogno, infatti, delle prediche, se le leggi e la coercizione dovessero pesare anche su quelle cose che finora furon governate dalla esortazione soltanto. Salomone ci dice che “molto studiare è fatica alla carne”; ma né lui, né alcun altro ispirato scrittore, ci dice che tale o talaltra lettura sia illecita. Eppure, se Dio avesse creduto utile imporci delle restrizioni, sarebbe stato certamente meglio se ci avessero detto quello che era illecito, anziché quello che era faticoso a leggersi. Il bene e il male, noi lo sappiamo, crescono insieme inseparabilmente in questo gran campo, che è il mondo. E la conoscenza del bene è così commista e intrecciata a quella del male e per molte altre somiglianze così difficilmente distinguibile da essa, che al paragone non dovevan sembrare più confusi quei semi che, mischiati insieme, Psiche doveva, come suo incessante lavoro, scegliere e separare.

Le Lezioni di filosofia si aprono con la Prudenza
La prima lezione tratterà de la Prudenza

Fu da un solo pomo mangiato dai nostri primi parenti che la conoscenza del bene e del male, avviticchiati insieme come due gemelli, irruppe nel mondo». «E forse - scrive ancora John Milton - la punizione che colpì Adamo, di conoscere il bene ed il male, in questo appunto consiste: nel conoscere il bene, cioè, per mezzo del male. Poiché questo, dunque, è lo stato attuale dell’uomo, che saggezza ci può essere nel saper scegliere e che merito nel saper contenersi senza la conoscenza del male? Colui che sa afferrare il vizio, e sa considerarlo in tutte le sue lusinghe e le sue fallaci delizie, eppure sa astenersene, sa distinguere, sa preferire ciò che è veramente migliore: quegli è il vero agguerrito cristiano». «Io - si legge sempre nell’Areopagitica - non so lodare una virtù pavida e romita, non operosa e non cimentata, che mai si slancia fuori ad affrontare il nemico, ma che a mezza corsa svigna dall’arringo, da quell’arringo ove la incorruttibile corona non si può vincere senza polvere e sudore. Sicuramente noi non portiamo l’innocenza nel mondo, vi portiamo l’impurità, piuttosto.

Quello che ci purifica è la prova, e la prova consiste nel volere il contrario di quel che ci piace. La libertà ch’io cerco è quella di apprendere, di parlare e di discutere, liberamente e secondo coscienza; questa più di tutte le altre libertà».

Milton possiede un’alta concezione della libertà umana. A suo avviso, segnato com’è dal peccato originale, l’uomo dovrebbe essere considerato una creatura decaduta, ma resta pur sempre responsabile, perché Dio l’ha reso libero di scegliere. Il poeta fa propria così un’idea di libertà che affonda le proprie radici nel mondo classico, in Aristotele ma anche in un certo cristianesimo. E, classicamente, la virtù prende forma soltanto per contrasto con il vizio. Se il male fosse vietato, se uno Stato volesse distinguere i libri che un cittadino può leggere da quelli che non deve, gli esseri umani verrebbero ridotti a burattini. Sarebbero come i pupazzi che, nelle fiere, fanno ridere i bambini. Ma una donna o un uomo non sono marionette, e non lo sono proprio perché sono dotati di una capacità di scelta che nessuno può sopprimere. Né un governo monarchico né un apparato vescovile – i due grandi antagonisti di Milton – disporranno mai del potere di renderci virtuosi per decreto. (...)

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