L’epistolario aggiornato di Pasolini il Friuli, il Partito comunista, gli amori

Roberto Carnero



Nell'avvicinarsi del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (5 marzo 1922), Garzanti manda in libreria l’epistolario dello scrittore friulano. I curatori Antonella Giordano e Nico Naldini (quest'ultimo, che era cugino di Pasolini, è mancato poco prima della conclusione dell’impresa) hanno aggiornato la precedente edizione delle lettere pasoliniane: due volumi usciti da Einaudi nel 1986 e nel 1988, ma da tempo introvabili. Per questo il volume garzantiano, "Le lettere" (pp. 1000, euro 60), rappresenta un'uscita importante.

Il risultato è un libro che si può leggere come un'autobiografia o come un romanzo autobiografico. La voce di Pasolini emerge chiara, viva, personale, e variamente modulata a seconda delle persone a cui si rivolge. C'è, nelle prime lettere scritte negli anni giovanili da Casarsa, l'amore per la terra friulana, come in queste righe inviate nella primavera del 1947 a un amico del milieu bolognese: «Ogni immagine di questa terra, ogni volto umano, ogni battere di campane, mi viene gettato contro il cuore ferendomi con un dolore quasi fisico. Non ho un momento di calma, perché vivo sempre gettato nel futuro: se bevo un bicchiere di vino, e rido forte con gli amici, mi vedo bere, e mi sento gridare, con disperazione immensa e accorata, con un rimpianto prematuro di quanto faccio e godo, una coscienza continuamente viva e dolorosa del tempo».

Gli anni successivi, soprattutto dopo aver raggiunto il successo letterario una volta giunto a Roma, sono la stagione delle polemiche culturali e dei contrasti politici, in particolare nei confronti del Pci: Pasolini si professerà sempre comunista, ma i suoi rapporti con l'intellighenzia del Partito non erano facili, visto il suo marxismo eretico ed eterodosso. Così scrive nell'ottobre del 1964 a Mario Alicata, allora direttore dell'"Unità": «Fresco di Matteo ti ricordo la frase: "Dite sì se è sì, non se è no: tutto il resto viene dal Maligno". Devi dirmi con coraggio se tu e la tua cerchia, a me, dite sì o no. Non perché questo possa contare sulla mia reale e profonda ideologia e fede comunista, ma perché possa aiutarmi nella mia chiarezza e nei miei atteggiamenti pratici. Non c'è niente di più penoso di un ospite non invitato...».

Ma forse l'aspetto più interessante che emerge da queste lettere è la scoperta dell'uomo Pasolini: dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, delle sue relazioni. Come quella con Laura Betti, amica stretta dello scrittore e regista, nei cui film è spesso iconica presenza e che nella vita era molto protettiva verso Pier Paolo, anche nei confronti delle sue frequentazioni maschili (era solita riferirsi a lui chiamandolo «mio marito»). Quando Pasolini conosce Ninetto Davoli, Laura tradisce la propria gelosia, e Pier Paolo le scrive, nel settembre del '64, descrivendo lucidamente la situazione: «Cara Laura, sarai certamente eroica ad andare per i negozi con Nino (Ninetto Davoli), a comprargli indumenti, ecc.: ma la realtà è che non lo puoi sopportare. La sua assurda, irrichiesta, arbitraria presenza, ottenuta da lui così facilmente, ti offende, lo so. E ti capisco. Tutto quello che per me è grazia per te è opera del Demonio - in lui. Hai capito che ribellarti è battere la testa contro il muro: e allora hai accettato».

C'è, infine, la costante presenza, lungo gli anni, della madre, alla quale scrive sempre non appena si trovi qualche giorno lontano da lei. Così da Asmara il 6 gennaio 1973: «Cara Picinina, tanti saluti rapidissimi ancora da Asmara, pronto a andare a fare sopraluoghi in un vecchio convento... Tutto va molto bene, splende il sole dolcemente, gli Eritrei sono deliziosi. Stammi bene, picinina, mangia, bevi e non stare mai neanche un minuto in pensiero, ciao». La chiamava «picinina»: espressione di un lessico familiare in cui c'è tutta la tenerezza di Pasolini verso la figura materna. —

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