Leonor Fini quell’amore a tre con Stanislao e Kot che va oltre la morte
“Gattora” è il soprannome con cui André Pieyre de Mandiargues chiamava affettuosamente Leonor Fini. Lo scrittore vicino ai surrealisti e l'artista di origine triestina si erano conosciuti a Parigi, grazie ad Henri Cartier-Bresson, nel 1931 subito dopo il trasferimento di Leonor in Francia. Complici e innamorati, erano diventati inseparabili: lui s'ispirava ai racconti di lei per costruire le sue prime storie, lei lo ritrae in vari quadri tra cui quello conservato al Museo Revoltella, “Giovinetto travestito da povero”.
“Gattora, la vita di Leonor Fini”, è il libro uscito adesso in Polonia dalla penna di Dorota Hartwich per la casa editrice Iskry. Una biografia della grande artista, costumista e designer che punta l'attenzione sul lato personale della donna e sulla sua vita privata, a cominciare dal titolo. Perché un libro in polacco? Se da una parte c'è il rinnovato interesse che Leonor Fini suscita negli ultimi anni a diverse latitudini, dall'altra è da tener presente un fattore sentimentale non trascurabile: Konstanty Jelenski, “Kot”, l'intellettuale e saggista con cui la pittrice vivrà per quasi quarant'anni, era un polacco con origini italiane. L'aspetto intimo emerge, quindi, nella biografia delineando il rapporto non convenzionale che Leonor, già compagna del pittore ed ex diplomatico Stanislao Lepri, instaura con Jelenski che lei definisce il suo “sole nero della malinconia”.
I tre vissero insieme legati da un amore profondo e immortale fino alla fine dei loro giorni, Leonor – come scrive Dorota Hartwich – non era infastidita dall'omosessualità di Jelenski, anzi, trovò in lui il terzo elemento ideale per costruire un rapporto di equilibri e di reciproco sostegno. Tutti e tre riposano insieme in una sola tomba sulla collina di Saint-Dyé-sur-Loire, località in cui si trovava la casa di campagna dell'artista.
Raccontare la vita di un personaggio così caleidoscopico non è impresa facile, Dorota Hartwich l'ha fatto partendo da un ricordo personale: «Quando avevo vent'anni ho trascorso un anno a Parigi come ragazza alla pari. Sono sempre stata interessata all'arte, mi piaceva vedere dal vivo le opere che mi avevano incuriosito sui libri, frequentare i musei. Una volta sono andata alla galleria Dionne in cui veniva inaugurata la nuova mostra di Leonor Fini: rimasi folgorata da lei, una donna anziana piena di fascino, circondata da ammiratori e artisti. Ma io ero troppo timida per avvicinarmi e parlarle. Il caso ha voluto che vent'anni dopo il direttore della casa editrice Iskry mi chiedesse di scrivere un libro su di lei. Per me è stata una splendida occasione ma anche l'inizio di un lavoro molto lungo: cinque anni intensi di ricerche, studio e scrittura».
Nella sua biografia Dorota Hartwich analizza l'ossessione di Leonor per la libertà, un misto di spirito d'indipendenza, forza e potere, un potere sia creativo che personale, come donna e come essere umano. L'intento è quello di comprendere l'artista da diversi punti di vista, inquadrare una personalità per molti versi misteriosa e sfuggente. Un elemento importante diventa il contesto internazionale nel quale Leonor Fini è perfettamente inserita e i suoi rapporti, spesso molto stretti, con gli altri artisti, a cominciare da Arturo Nathan, Achille Funi e Filippo de Pisis, per passare a Max Ernst, Dalí, Jean Genet, senza dimenticare il mondo della moda con cui intreccia collaborazioni importanti: Elsa Schiaparelli, Marcel Rochas, Christian Dior.
Vale la pena ricordare, per riallacciarsi alla visibilità di cui gode l'artista triestina in questo momento, che lo scorso gennaio alle sfilate di alta moda a Parigi, Maria Grazia Chiuri, direttore creativo della maison Dior, ha esplorato con i suoi abiti la femminilità attraverso la lente del Surrealismo facendo omaggio in particolare a Leonor Fini, ai suoi quadri, al look che proponeva nelle celebri foto che l'hanno ritratta, alle sue creazioni di oggetti e accessori. «Leonor - continua Dorota Hartwich - ha vissuto contemporaneamente almeno tre vite: oltre alla vita d'artista, a cui ha dato forma da sola, c'è la ricca vita privata condotta a due livelli. Quella quotidiana vissuta con chi le stava accanto e quella epistolare fatta di un rituale di scrittura intrapreso con le persone care fisicamente lontane». —
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