L’energia e il colore dei macchiaioli a Padova sulla tela i capolavori dell’Italia che risorge

il percorso
Un’Italia piena di luce, piena di sole, di mare blu e cieli azzurri; di panni stesi ad asciugare e di balconi fioriti, di campi coltivati e di terreni dove pascolano liberi cavalli e buoi. È l’Italia della seconda metà dell’Ottocento, un’Italia ancora da compiere sotto il profilo politico e sociale ma già unita nel suo sentire, nella rappresentazione che ne danno i pittori macchiaioli.
A Palazzo Zabarella di Padova oltre cento dipinti vengono riuniti nella mostra “I Macchiaioli. Capolavori dell’Italia che risorge”, curata da Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca, aperta fino al 18 aprile.
Nel titolo traspare il desiderio di trasmettere anche a noi contemporanei lo stesso spirito, la stessa vitalità e senso di unità che accomunò quel gruppo di artisti soliti a riunirsi al Caffè Michelangiolo di Firenze, insieme a intellettuali e rivoluzionari, a discutere di arte e politica. Artisti per i quali il bello risiedeva nella realtà, artisti che volevano dipingere calandosi pienamente nella concretezza del paesaggio, delle strade cittadine, negli interni delle case, tra la gente vera, come avevano iniziato a fare i loro colleghi francesi della Scuola di Barbizon e come avrebbero fatto di lì a poco i pittori impressionisti. Rinnovando il modo di dipingere, la capacità di cogliere e rendere la luce e le ombre.
Ancor prima di essere denominati “macchiaioli” in senso spregiativo nel 1862 da un anonimo recensore della «Gazzetta del Popolo», vennero definiti “effettisti”, a indicare la loro tavolozza carica di energia, le loro tele forti di contrasti cromatici. Gli inizi non furono certo facili ma da subito poterono contare su amici e sostenitori che seppero andar oltre a quanto poteva osservare la critica ufficiale.
La nuova mostra di Palazzo Zabarella punta l’attenzione proprio su quella fitta rete di collezionisti, mecenati, critici, mercanti che si rivelò determinante per l’affermarsi di Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Giovanni Boldini, Telemaco Signorini, e altri come Adriano Cecioni, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Vincenzo Cabianca.
Attraverso un rigoroso lavoro di ricerca scientifica si è voluto riandare alle prime collezioni delle opere degli artisti macchiaioli ed esporre accanto a capolavori noti quali la “Mietitura del grano nelle montagne di San Marcello” di Odoardo Borrani, “La strada bianca” e “La mena in Maremma” di Giovanni Fattori prestati dall’Istituto Matteucci di Viareggio, tanti altri capolavori meno noti e meno visti provenienti da collezioni private come lo stesso “Al sole” di Vincenzo Cabianca, che offre le due figure femminili a immagine della mostra, o “Bambini colti nel sonno” di Telemaco Signorini.
Tra i critici che sostennero i macchiaioli si ricordano Diego Martelli che Federico Zandomeneghi ritrae in vestaglia seduto al suo scrittoio e Ugo Ojetti ritratto sempre alla sua scrivania, nel suo studio, da Oscar Ghiglia.
Martelli, uomo di grande cultura, intellettuale di livello europeo, condivideva con i macchiaioli gli ideali patriottici e strinse legami di amicizia con molti di loro. Nel 1861 aveva ereditato dal padre la tenuta di Castiglioncello dove d’estate ospitava i pittori che lì avevano modo di dipingere dal vero. Ne nacquero paesaggi intrisi di vento e luce come la “Fascinaia di Castiglioncello” di Giovanni Fattori, le marine di Raffaello Sernesi e di Giuseppe Abbati o la veduta di Odoardo Borrani appartenuta allo stesso Martelli, oggi della Galleria degli Uffizi, esposte in mostra.
Ugo Ojetti, critico d’arte, scrittore, giornalista, “arbitro del gusto del suo tempo” come ha scritto Giovanna De Lorenzi, fu incaricato dal comune di Firenze di seguire i primi acquisti delle opere dei macchiaioli per la Galleria d’arte moderna. Lui stesso fu collezionista riuscendo a riunire una cinquantina di dipinti macchiaioli, mostrando particolare predilezione per le opere di Giovanni Fattori e Oscar Ghiglia.
Tra gli amici sostenitori vengono presentati Giuseppe e Elisa Fabbroni, entrambi ritratti da Silvestro Lega che di loro ebbe a dire: “mi aprirono la mente, mi fecero più sicuro delle mie idee nuove”.
Tra i mercanti d’arte compare pure la figura di Giacomo Molena, attivo tra Vienna e Trieste. Provenienti dalla sua collezione sono “Panorama di Firenze dal colle di San Miniato” e “Veduta dell’Arno e di Santa Maria del Fiore dal Forte di Belvedere” di Telemaco Signorini del quale Molena era il principale agente commerciale.
Chiudono l’esposizione le opere della collezione Angiolini, per la prima volta visibile al pubblico nella sua interezza, dove spiccano “Pascolo a Castiglioncello” di Borrani o “Pio bove” e “Acquaiole livornesi” di Fattori. Una collezione “frutto di un lungo lavoro di ricerche appassionate e amorose” come ebbe a scrivere lo stesso imprenditore Alvaro Angiolini, riflesso di un “disinteressato, reverente, filiale attaccamento a questi grandi maestri dell’Ottocento toscano che presi ad amare sempre più così come si possono amare tutte quelle cose che – per un bisogno intimo, ora di gratitudine, ora di ammirazione, ora di vera e propria affettività – entrano a far parte del nostro animo, del nostro cuore, della nostra intera vita”. —
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