Lee Miller la fotografa ribelle dall’esistenza surrealista

BOLOGNA. Lee Miller è una delle figure più affascinanti e misteriose del Novecento. Modella di straordinaria bellezza, cuoca estrosa, impavida corrispondente di guerra ma soprattutto fotografa di eccelsa bravura. Nelle fotografie che la ritraggono a emergere sono gli occhi, profondi e lucidi, che molto narrano della sua vita vissuta sempre al massimo grado di intensità, in perenne ricerca di se stessa e delle infinite occasioni che l’esistenza poteva offrirle.
“Surrealist Lee Miller”, aperta a Palazzo Pallavicini, in Via San Felice 24 a Bologna (info 3313471504) è una mostra che vuole porre l’attenzione sullo sguardo surrealista della fotografa che, formatosi alla fine degli anni Venti a Parigi, travalica questo breve frangente temporale per diventare tratto peculiare della sua poetica. Surrealista è il suo modo di osservare, così come lo è il lessico fotografico da lei utilizzato, caratterizzato dall’uso di metafore, antitesi e paradossi visivi volti a rivelare la bellezza inconsueta della quotidianità. È difficile raccontare una donna di tale caratura - complessa è la sua intimità e tumultuosa la sua biografia - ma la scelta di tale tematica consente di delineare con maggior cura il ritratto di Lee Miller, poiché a emergere è la sua duplice natura: donna ironica e divertente e fotografa empatica e rispettosa del dolore altrui, qualità umane che le hanno permesso di cogliere con grande sensibilità gli eventi più tragici del XX secolo. Lee Miller nasce a Poughkeepsie, nello Stato di New York, il 23 aprile 1907, da Florence e Theodore, un personaggio eccentrico, da cui Lee apprenderà l’amore per la tecnologia e per la sperimentazione, la caparbietà nel portare avanti i propri progetti, anche quelli più stravaganti, ma soprattutto la passione per la fotografia. Lee era una ragazza dalla bellezza eterea, ma a renderla veramente irresistibile era l’aura che emanava la sua personalità ribelle. La sua infanzia non fu spensierata: all’età di sette anni venne violentata da un amico di famiglia, il che comportò in lei un profondo turbamento psicologico aggravato dal contagio di una malattia venerea e i genitori, per alleviare il dolore della figlia, accontentarono ogni sua richiesta, libertà che rese la già intraprendete Lee, ancor più sfrontata. Dopo l’ennesima espulsione dal liceo, il padre la mandò nel 1925 a Parigi, dove dopo un tentativo in una scuola di teatro inzia a vivere da bohémien. Il padre, preoccupato, la riporta in America dove Lee si iscrive nel 1926 alla Art Students League di New York: Ma un avvenimento fortuito sta per cambiare drasticamente i suoi piani. È il 1927, Lee Miller incontra casualmente Condé Nast, proprietario di importanti riviste di moda come “Vogue” e “Vanity Fair”. Nel marzo dello stesso anno il volto di Lee Miller esce su “Vogue” e Lee diventa presto il nuovo volto della società moderna e incarnazione della new woman: lineamenti eleganti, capelli biondi alla garçonne, raffinata nella gestualità, atteggiamento impassibile. Il pubblico la ama e sono molti i fotografi che la vogliono ritrarre. Il percorso museale prende avvio da quando Lee Miller, sbarca a Marsiglia e, dopo un breve periodo passato in Italia, raggiunge Parigi. —
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