Le strane imprese del Barbarigo nella “Battaglia dell’Atlantico”

Enrico Cernigoi ricostruisce la vicenda  del sommergibile italiano nel contesto politico dei Paesi  del Sud America



Fu Winston Churchill, nel 1941, a coniare il termine di Battaglia dell’Atlantico per definire quella vasta campagna militare navale e aerea che si protrasse più a lungo e con maggiore continuità di tutta la seconda guerra mondiale. Cominciata contemporaneamente all'avvio delle ostilità, la campagna durò fino alla capitolazione della Germania, raggiungendo il suo apice, come tonnellaggio di naviglio affondato, nel periodo tra il 1940 e il 1943. Del resto contrastare il traffico di rifornimenti fra le Americhe e l’Europa in fiamme era una priorità strategica: impedire i rifornimenti per l’Asse, difendere i rifornimenti per gli Alleati. L’Italia fece la sua parte, impiegando l’arma per eccellenza in quel contesto: i sommergibili. Tra i battelli che Betasom inviò in Atlantico ce n’era uno, il Barbarigo, che avrebbe causato non pochi imbarazzi alla Marina contribuendo inoltre, e involontariamente, a far pendere la bilancia dei delicati equilibri in Sudamerica dalla parte degli Alleati. Lo racconta con dovizia di particolari Enrico Cernigoi nel suo ultimo saggio “La Battaglia dell’Atlantico. Le operazioni della Regia Marina, della Kriegsmarine e l’attività di spionaggio in Sud America” (Itinera, pagg. 221, Euro 22,00).

Il pregio di questo libro, diciamolo subito, è l’aver scelto come cardine della ricostruzione storica un punto di vista poco frequentato dagli storici quando si tratta di indagare la Seconda guerra mondiale: i Paesi del Sudamerica - Brasile, Argentina, Messico, Cile - e in particolare il ruolo dello spionaggio dell’uno e dell’altro schieramento in lotta. In quei paesi, dove vivevano sei milioni di migranti italiani e due milioni di tedeschi, nel Brasile in particolare, gli apparati di intelligence sia germanici che americani e britannici - molto meno gli italiani - lavoravano a tutto spiano già prima del conflitto. «Lo scoppio della seconda guerra mondiale - nota Cernigoi - complicò i già difficili rapporti esistenti tra i vari Stati del continente americano. Gli Stati Uniti, sebbene professassero la loro neutralità, propendevano per le potenze democratiche. (...) in Brasile, Argentina, Cile ecc., non vi era una propensione univoca, molti cittadini di discendenza italo-tedesca parteggiavano decisamente per l’Asse, altri, delle classi più abbienti, nutrivano simpatie per l’Inghilterra e i suoi alleati». L’entrata in guerra degli Stati Uniti avrebbe mutato gli equilibri inasprendo il confronto sia sul piano politico che sul campo, cioè in mare. E qui si inserisce la storia del sommergibile Barbarigo. La vicenda è nota. Tra maggio e ottobre del 1942 il comandante del Barbarigo, Enzo Grossi, annunciò di aver affondato due corazzate statunitensi. Imprese straordinarie, che gli valsero gli elogi del duce e di Hitler, una promozione, la Medaglia d’oro al valor militare e la Croce di ferro da parte del Führer. Peccato che non era vero. Al massimo Grossi aveva centrato un piccolo mercantile, e forse neanche quello. La stessa Marina militare italiana aveva sin dal primo momento alzato più di un sopracciglio esaminando i dati inviati da Grossi, e in seguito ben due commissioni d’inchiesta, nel 1949 e nel 1962, dimostrarono che Grossi aveva mentito, e tutte le onoreficenze gli furono ritirate. Nel suo libro Cernigoi ricostruisce una volta di più i fatti, ma stavolta butta l’occhio anche sull’altra costa dell’Atlantico: il Brasile, politicamente dilaniato al suo interno tra sostenitori degli Usa e partigiani dell’Asse, aveva preso a pretesto il fracasso suscitato dalle presunte imprese di Grossi per mettere una volta per tutte il bavaglio ai filonazisti. Dopo l’annuncio dei falsi affondamenti, nota Cernigoi, «il Brasile non aveva altra scelta che la sottomissione agi americani. L’affondamento di Grossi, qualsiasi nave fosse, aveva avuto come conseguenza di velocizzare l’azione degli Usa per motivi legati, probabilmente, anche alla propria immagine, messa in discussione da quella che in quel momento sembrava essere un’incapacità di difendere le coste atlantiche». —

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