«Le lezioni virtuali non aiutano i ragazzi vittime della paura di andare a scuola»
l’intervista
Roberto Carnero
In queste settimane di chiusura per l’emergenza sanitaria, il mondo della scuola si è rapidamente attrezzato per erogare la didattica online. I vari istituti di ogni ordine e grado si sono mossi in maniera molto veloce, per garantire agli studenti il diritto all’istruzione. In alcuni casi, le buone pratiche esistevano da tempo e quindi erano già consolidate; in altri, invece, si è dovuto iniziare un tipo di attività del tutto nuova. Ma come stanno andando le cose? Si tratta di una metodologia efficace? Oppure ci sono anche problemi e criticità
Ne parliamo con Franco De Masi, psichiatra e psicoanalista, membro ordinario della Società psicoanalitica Italiana, autore, con Manuela Moriggia e Giancarlo Scotti, di un saggio intitolato “Quando la scuola fa paura. La fobia scolastica spiegata a genitori, docenti, psicologi e psicoterapeuti” (Mimesis, pagg. 120, euro 12): un libro scritto per aprire anche in Italia una discussione su un problema troppo spesso trascurato nel dibattito pubblico.
Come possiamo valutare l’esperienza della “scuola a distanza” attivata in queste settimane? «La didattica a distanza - risponde De Masi - è l’unico modo per ovviare temporaneamente alla chiusura scolastica per il coronavirus, ma non può sostituire l’esperienza della vita di gruppo e il contatto vivo con gli insegnanti. L’esperienza scolastica nell’età adolescenziale costituisce un crocevia essenziale per acquisire competenze mentali, emotive, sociali e civili, in mancanza delle quali si produce un serio danno allo sviluppo».
Eppure alcuni sostengono che questa emergenza possa indicare alla scuola una prospettiva per un nuovo tipo di didattica anche per il futuro. Che cosa ne pensa?
«Credo che il rapporto umano rimanga indispensabile nell’educazione e nella crescita e non sia sostituibile da Internet, che pure rimane un sussidio comunicativo e informativo importante».
Come si definisce la «fobia scolastica» di cui si occupa il suo studio?
«La fobia scolastica consiste in un’angoscia acuta, un attacco di panico, che colpisce il bambino o l’adolescente quando deve andare a scuola. Il disturbo può iniziare precocemente, alla scuola primaria. In questo caso una buona psicoterapia e il costante sostegno dei genitori può aiutare, perché si tratta di una difficoltà del bambino a separarsi dalla madre. Più complessa e difficile da superare è la fobia scolastica che si sviluppa più avanti, nel corso dell’adolescenza. Quando compare la fobia scolastica, lo sviluppo del ragazzo subisce un collasso, come se la sua personalità fosse mancante di un fondamento necessario per la continuità dell’esistenza. L’esito più frequente è che il ragazzo si rinchiude in casa, intraprende continue battaglie con i genitori e, a volte, finisce per essere intrappolato nella rete informatica. Al posto della vita reale subentra la vita virtuale di Internet».
Quanti sono in Italia i ragazzi vittime del fenomeno?
«In Italia una statistica di questo genere è molto difficile, poiché la fobia scolastica non è distinta dalla fobia sociale. In Francia, dove sono state istituite strutture idonee ad affrontare questa sindrome, è stata calcolata una percentuale oscillante tra l’1,5 e il 3 per cento del totale degli studenti».
Il Ministero dell’Istruzione, le scuole, i docenti sono preparati ad affrontare la fobia scolastica?
«I docenti e i presidi si trovano di fronte a una situazione difficile da affrontare. Spesso si mobilitano per aiutare il ragazzo a studiare a casa mentre i compagni di classe gli dimostrano molta solidarietà. In Italia esiste un quadro normativo ancora piuttosto incerto che “protegge” solo parzialmente gli studenti con fobia scolastica quando non raggiungono il numero minimo di ore previsto per essere ammessi allo scrutinio finale. Ci sembra però che l’Italia sia carente sia di norme specifiche per la fobia scolastica, sia di presìdi terapeutici adeguati. Non bisogna dimenticare che non si tratta solo di un problema di apprendimento, perché la rottura con la classe e il gruppo dei coetanei mette in crisi lo sviluppo sociale, psichico ed emotivo del ragazzo».
Esiste la “fobia scolastica” nella didattica online? Magari per la scarsa abitudine di ragazzi e genitori all’uso degli strumenti informatici o per una spersonalizzazione del rapporto educativo...
«Nel caso della scuola a distanza ci possono essere alcune difficoltà da parte dei singoli, ma la fobia scolastica non si definisce solo per il rifiuto di andare a scuola, essendo invece espressione di un grave stato di crisi esistenziale del ragazzo, che rompe i rapporti sociali, in particolare con tutti i coetanei».
Un capitolo del vostro libro parla del «ritiro nel mondo virtuale». Esiste un rischio in questo senso anche con la didattica a distanza e con le lezioni online?
«Per le lezioni online non esiste questo rischio, perché il ragazzo mantiene un rapporto con la famiglia e, seppure in altre forme, anche con i coetanei e con il mondo della scuola». –
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