Le dispute sull’immensa eredità nel destino di tre generazioni di donne

Nella saga familiare di Ludina Barzini il ritratto della società e del Paese tra Ottocento e Novecento



Non vissero felici e contente. Non vissero nemmeno con quella spensieratezza dovuta a chi è giovane. Tre generazioni di donne forti come rocce, tre famiglie matriarcali, e lo stesso, identico destino: una disputa continua, infinita, tra i figli per l’eredità. Cannibalismo per denaro. Un’eredità immensa, fatta di ville e palazzi tra Genova, Milano, Roma, New York e in Austria, fondi, azioni, gioielli, quadri del ’700, mobili del ’600, lingotti d’oro. Contese infinite, finite in Cassazione, che sgretolano le vite di Rosa e Isabella e iniziano a corrodere quella di Livia. Il romanzo - “L’eredità” (Bompiani, pagg. 400, euro 15,00) - è firmato da un “brand” storico del giornalismo italiano: Ludina Barzini, terza generazione di una dinastia iniziata da Luigi senior e figlia di Luigi junior, firme di assoluto spessore del Corriere della Sera, giornalista - lei - all’Espresso, al Corriere e alla Stampa (nonché prima moglie di Enzo Bettiza).

La storia è sull’avidità. Che separa, disgrega, a volte uccide. La prima protagonista di questa saga familiare che attraversa gli ultimi scampoli dell’800 e l’intero ’900, è Rosa. Nasce nel 1870 in un palazzo rinascimentale di Genova. Sposa l’innamoratissimo e nobilissimo Filippo. Dalla mamma, Rosa riceve una Madonna con bambino di Raffaello. Il marito diviene un oculato imprenditore nell’import-export di spezie ma una mattina, a causa di un cuore troppo capriccioso, muore. Rosa non ha nemmeno trent’anni e due figli piccoli, Antonio e Felicita. “Non voglio morire imbalsamata in questa vita miserabile, devo andare via di qua”. E si rifugia a Milano. È il 1901. Villa con giardino in una Milano dove tutto comunica progresso, energia, curiosità. Luglio e agosto, invece, si trascorrono a Forte dei Marmi.

Rosa non è una sprovveduta, e dopo un tè da Cova, qualche cena da Savini e qualche fine settimana sul lago di Como, giunge alle nozze con un banchiere, Beniamino. Acquista terreni edificabili, è ben consigliata e ha l’occhio lungo. Il patrimonio cresce, e cresce pure la famiglia: nascono Isabella e Donata. Una vita spensierata, certo, ma non priva di responsabilità: occorre amministrare tutto quel ben di Dio che le hanno lasciato il primo marito e suo padre. Quel compito diviene un’ossessione: documenta entrate, uscite, spese extra per evitare contestazioni. Come una formichina, mette da parte un’importante dote anche per le figlie delle seconde nozze, benestanti ma non al livello di Antonio e Felicita. Che da piccoli sono studiosi e disciplinati; poi, man mano che prendono coscienza di essere gli unici eredi di un vasto patrimonio, litigano, accusano Rosa di aver percepito un usufrutto esagerato. Rosa ha una lacrima sempre pronta. Morirà di crepacuore, non prima di aver messo in guardia Isabella, la figlia prediletta, dai guasti della ricchezza. “Con il denaro tutto si accomoda fuorché la felicità. Quella non si compera”.

Isabella sposa uno degli scapoli più ambiti di Milano, Carlo, un uomo d’affari che pagherà con la vita il dissenso al fascismo. In quei nove anni di felice matrimonio, Isabella fa in tempo ad avere due figli - Giampi e Matilde - e numerose cause contro i fratelli. La vita è la stessa della madre: gioielli Bulgari, una Madonna di Botticelli come regalo di nozze, vacanze in Stiria o a Viareggio. In una battuta di caccia, un colpo di fucile e perde l’occhio sinistro. A 26 anni la sua raffinata bellezza sfigurata per sempre. Usa un monocolo (proprio come Giannalisa Feltrinelli Barzini, vedova di Carlo Feltrinelli, moglie di Luigi Barzini jr, mamma di Ludina).

A 29 anni, è vedova. Come la madre. Tutto uguale. Persino - nel 1939 - un secondo matrimonio, altre due figlie - Livia a e Giulia -, e l’ossessione nell’appuntare sulla carta ogni soldo speso persino per i giornali, le mance al portiere, i fiori al baracchino.

Amica del principe Umberto, non tollera il risultato del referendum pro Repubblica, e nel 1950 va a vivere a New York, in residence a Central Park. Matilde e Giampi iniziano la guerra sull’eredità che coinvolgerà anche Giulia. L’unica che le rimane è Livia. Lei, che vuole essere libera ed economicamente indipendente, è rincorsa dall’ossessione testamentaria di sua madre. In ogni lettera che riceve, le viene comunicata la riscrittura di un pezzo di testamento. Isabella muore nel 1965: sono presenti in nove al suo funerale, oltre a Livia. Che dopo aver sacrificato il lavoro per assistere la madre malata, a tre giorni dalla sepoltura di Isabella si ritrova a lottare con i primi parenti avvoltoi. “Il karma sciagurato ereditato da sua madre”.

Tre donne forti, che si sono armate per combattere più che il mondo, i figli e i parenti. Perché alla fine “l’eredità imprigionava la mente, era rabbia e invidia, era vendetta. Il denaro è una flebo di veleno”. —



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