Le cose succedono a Ritmo Tribale

Pezzi nuovi, un ep, domani il concerto a Mortegliano. Tante novità per la band “orfana” di Rampoldi

«Io non voglio vivere in memoria di me/ io non voglio vivere in provincia di quello che/ poteva essere ma non è stato»: una dichiarazione d’intenti nel singolo del ritorno dei milanesi Ritmo Tribale, «Le cose succedono», uscito in questi giorni. Succede che Stefano Edda Rampoldi, il cantante, ti molli all’apice del successo (per gli standard di un rock italiano florido tra gli Ottanta e i Novanta), dopo cinque dischi assieme, nel 1996. Succede che lui ricompaia solo nel 2009 e intraprenda con convinzione una carriera solista. E succede che ci metti un po’ a fare pace con il tuo passato, ma alla fine «Le cose non sono/ Le cose succedono/ e si trasformano secondo necessità». Pezzi nuovi, un ep in uscita e un ritorno in gran forma sui palchi per Andrea Scaglia (voce e chitarra), Fabrizio Rioda (chitarra), Andrea Filipazzi (basso), Talia Accardi (tastiere) e Alex Marcheschi (batteria) che farà tappa anche alla Festintenda di Mortegliano sabato 23, preceduti alle 20 da Alteria, La Methamorfosi, Volvodrivers, Dissociative.

«Ad aprile 2017 un amico stava per diventare padre e ci ha chiesto un regalo: un concerto – racconta Marcheschi – suonando il suo disco preferito, “Bahamas” (del 1999, unico album dei Tribali dopo la fuoriuscita di Edda ndr). La cosa ci ha galvanizzato, non suonavamo assieme dal 2007. È andata così bene che ci è venuta voglia di rimetterci in gioco, con materiale nuovo. Scaglia è un fiume in piena, scrive sempre e non si è mai fermato. Sono arrivate tante richieste per i live e ci siamo rimessi in moto».

Oltre al singolo cosa uscirà?

«Abbiamo pronto un ep con un altro inedito, “La rivoluzione del giorno prima”, “Resurrezione show” che è un adattamento di un pezzo dei Killing Joke e “Lo stesso giorno” una rilettura in italiano di un brano dei NIN per cui siamo in attesa dell’autorizzazione di Trent Reznor. Il singolo vuole essere un punto di ripartenza, quasi come se fossimo un gruppo nuovo, che non si basa sulle glorie del passato, con un testo meno ermetico del solito. Liberi da una serie di meccanismi discografici, siamo così: prendere o lasciare. L’altra sera al concerto di Milano la gente già lo cantava, ci ha fatto molto piacere. Dal vivo abbiamo modificato qualche pezzo vecchio come “Amara” e “La mia religione”, nessun stravolgimento, stiamo solo cercando di rendere certe cose più vicine ai suoni di adesso».

A Trieste non suonate dal 1991, alla Festintenda siete passati anche dopo.

«Siamo felicissimi di tornare a Mortegliano dove suonammo già con i Ritmo e in anni più recenti con il progetto NoGuru, è tra le poche date estive che abbiamo scelto di fare, ripartiremo a settembre nei club».

Quando avete ricominciato a provare, un paio di volte si è unito a voi in sala anche Edda. Non c’era modo di averlo a bordo?

«Non erano neanche prove, era lui che compariva e scompariva, nel suo stile. Mi rendo conto che è giusto le strade si siano divise. Prima avevo in cuor mio la speranza, il desiderio di riaverlo nella band ma ora mi sono convinto che sarebbe innaturale, perché lui fa finalmente le sue cose, in libertà. E noi facciamo le nostre. Sono artisticamente molto diverse e sarebbe una forzatura. Edda è orientato su un altro tipo di linguaggio, più vicino al pop; noi siamo su un altro tipo di sonorità e messaggi. Siamo sereni ora».

Avete fatto pace con il passato?

«Abbiamo sviluppato la consapevolezza che è accaduto quello che doveva accadere. L’unico rammarico è che nel nostro miglior momento, quando uscì “Psycorsonica” non abbiamo potuto raccogliere quanto seminato, non c’erano le condizioni di andare avanti con Edda; ma fa parte della vita. Col senno di poi: è già tanto che siamo arrivati fin lì».

Siete stati tra i protagonisti degli anni d’oro del rock made in Italy, arrivando anche un attimo prima degli Afterhours. Il presente, invece, è fertile per il cantautorato e il rap, meno per il rock.

«È come se oggi mancasse l’urgenza che avevamo noi, la vedo sporadicamente in gruppi come i Ministri, che però non sono certo esordienti. L’hip hop lo capisco e tra i cantautori di adesso mi è piaciuto Motta che ha qualcosa da dire per il resto il cantautore depresso nel suo salotto non è nelle mie corde, vedo autocelebrazione e narcisismo, non autenticità».

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