Le bacchette di Ian Paice portano a Trieste l’intramontabile rock dei Deep Purple

Domani al castello di San Giusto il batterista suona con il gruppo dei Purple Night nell’ambito del Summer Festival 
12/12/2009 ROMA, PALALOTTOMATICA DEEP PURPLE TOUR, Ian Paice ALLA BATTERIA
12/12/2009 ROMA, PALALOTTOMATICA DEEP PURPLE TOUR, Ian Paice ALLA BATTERIA

l’intervista



Il giro di accordi di “Smoke on the Water” era lo scalo obbligatorio dei principianti della chitarra, l’ascolto di “Child in Time” un tributo alla storia del Rock. È sempre stato particolarmente intenso il rapporto tra il pubblico italiano e i Deep Purple, la storica band dedita all’Hard Rock di velluto e ai prodromi dell’Heavy, una trama che si preannuncia racchiusa in “Tribute to Deep Purple” (alle 21, concerto a pagamento) e attesa alla ribalta domani al Castello di San Giusto nell’ambito della terza tappa della 16° edizione del Trieste Summer Rock Festival, manifestazione a cura dell’Associazione Musica Libera e inclusa nel cartellone di Trieste Estate, la rassegna promossa dal Comune di Trieste.

Tributo, si, ma d’autore, disegnato fortunatamente dalla presenza sul palco di un rappresentante originale, il batterista Ian Paice, classe 1948, di Nottingham, musicista storico quindi, da sempre in lizza nelle varie formazioni della band inglese e qui a “supporto” dei Purple Night, il complesso italiano dedito alle riproduzioni delle atmosfere anni’70 griffate da Jon Lord e soci: «In effetti i Deep Purple, come molti altri complessi inglesi, hanno un rapporto speciale con l’Italia – ribadisce Ian Paice – e questo sin dagli anni’70, per questo ricordo bene i primi concerti, quelli di Roma e Genova. Devo dire che l’entusiasmo degli italiani non è mai venuto meno nel corso del tempo e di questo sono sempre stato molto grato». Tocco inconfondibile rock ma venato all’occorrenza di respiri Jazz e Swing, chiaro retaggio dei primordi vissuti nell’orchestra diretta dal padre Keith, cercando di assimilare soprattutto lo stile di Buddy Rich, uno dei suoi riferimenti fondamentali nella formazione. Timbro inconfondibile quello di Ian Paice, batterista ormai iconico e in grado di vantare collaborazioni niente male, vedi il lavoro a fianco di Paul McCartney in occasione dell’album “Run Devil Run” del 1999, dove tra l’altro alla chitarre giostrava anche un certo David Gilmour: «Sir Paul (McCartney) mi ha dato l’occasione di dimostare di aver assimilato bene la lezione dei Beatles negli anni’60 – rievoca Paice – Per me è stato un tuffo nel passato e con Paul si lavorava proprio come ai tempi dei Beatles, ovvero in studio alle 9, pausa alle 13 e poi ancora in studio sino alle 17, poi tutti a casa...».

L’altro spicchio storico vissuto da Ian Paice si collega a “Concert for Group and Orchestra”, album del 1969 che in qualche modo spianò il concetto di “Rock Sinfonico”, la cifra che avrebbe poi alimentato il Progressive dipinto con successo da Wakeman e dagli stessi Emerson, Lake&Palmer: «C’era molto entusiasmo attorno a quel progetto di Jon Lord – racconta ancora il batterista dei Deep Purple – ma inizialmente non fu un successo, lo diventò solo dopo ma indicò una evoluzione ben precisa. Il Prog di oggi è la dimostrazione che Lord e altri avevano una visione futurista per quegli anni». Il presente parla invece del “tributo” a San Giusto e il copione atteso attinge da culto e pantheon del “profondo viola”: «La scaletta prevede brani di tutte le formazioni storiche – prennuncia Ian Paice – ci sono anche brani inusuali ma che che so bene abitano nel cuore degli italiani. E poi San Giusto è un luogo magico, ideale. A Ritchie Blackmore piacerebbe tantissimo per le sue atmosfere medievali». —

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