L’avventura senza ritorno del conquistatore Cortés che cancellò gli aztechi

l’intervista
Nella primavera del 1519 Hernán Cortés, uno spagnolo che sembra un personaggio di Cervantes, un hidalgo che per cercare fortuna lascia la sua Castiglia e naviga il Mediterraneo prima di raggiungere il Nuovo Mondo, sbarca nella penisola dello Yucatan. Ha con sé seicento uomini, cavalli e armi da fuoco. Davanti alla costa messicana Cortés ha un’idea geniale, affonda i vascelli che hanno portato fin lì da Cuba il suo piccolo esercito e pronuncia una frase che resterà famosa: “Ya no hay vuelta atras”, ovvero “non si può tornare indietro”. Ha inizio così la conquista dell’impero Azteco, uno dei più importanti dell’America precolombiana.
La vicenda di Cortés e il suo incontro con il re Azteco Montezuma, saranno al centro della lezione di storia che il professore Luigi Mascilli Migliorini, docente di Storia moderna presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, terrà domani al Teatro Verdi per il ciclo dedicato alla presa del potere ideato e progettato dagli Editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste è organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste. Media partner “Il Piccolo” (Ingresso libero con prenotazione online su Ticketpoint (e neii punto vendita in Corso Italia 6).
Perché Cortes brucia le sue navi? Che significato ha quel gesto?
«Bruciare le navi significa non avere via di ritorno, in questo modo Cortés può andare solo avanti. Se uno si lascia delle vie di fuga è meno determinato a proseguire. Il potere è rischiare il tutto per tutto, non avere paura di perdere quello che si ha. I Conquistadores sono animati dal desiderio della conquista perché vogliono governare, vogliono prendere il potere. Conquistare non è razziare, non è depredare, ma avere un piano preciso».
Cosa sapeva Cortés dell’impero azteco e come si prepara a conquistarlo?
«Intanto Cortés aveva un vantaggio su Montezuma. Era in grado di conoscere la lingua maya, e questo grazie a un altro spagnolo, che aveva fatto parte di una spedizione che anni prima era andata in Messico a cercare l’oro e viveva lì da una decina di anni. Poi Cortes incontra Donna Marina, come la chiamano gli spagnoli, una donna maya che ha vissuto a lungo in un mondo di lingua azteca e che diventerà l’amante di Cortes. Grazie a questa donna che fa da mediatrice tra due mondi Cortes riesce a entrare in comunicazione diretta con il mondo azteco. Così viene a sapere che l’impero azteco non è compatto, è il risultato di molte conquiste ed è una sorta di confederazione tra le varie etnie. Non solo, ma alcune tribù sono scontente di Montezuma che li opprime di tasse».
E Montezuma cosa sa degli spagnoli?
«Montezuma non capisce cosa vogliono questi uomini bianchi e non si pone il problema di capire cosa Cortés ha in testa. L’incontro tra i due mondi è troppo squilibrato per non essere già segnato. Le differenze sono di tipo militare, gli aztechi non conoscono le armi da fuoco e culturale; e poi c’è il fattore biologico. Gli aztechi non hanno gli anticorpi per combattere il virus dell’influenza, che in Europa c’era già da molti anni e aveva creato una immunità di gregge da cui erano escluse le popolazioni delle Americhe. Un argomento che oggi riusciamo a comprendere molto bene».
Gli spagnoli non vanno all’assalto degli aztechi, nonostante il vantaggio militare. Come mai?
«A un certo punto Cortés sale sull’altopiano, lo attraversa e arriva a Tenochtitlán, una città bellissima, una sorta Venezia dell’America centrale, che sorge su delle isole al centro di un lago. Ha con sé un forte esercito con alleati messicani, popolazioni dell’impero azteco che vogliono ridurre l’importanza di Montezuma. Ma Montezuma non vuole affrontare la battaglia diretta, pensa che questi stranieri se ne andranno con le buone».
E Cortés?
«Cortés temporeggia. I due vivono insieme per otto, nove mesi, scambiandosi onori reciproci. E poi entra in gioco la profezia del dio serpente, Quetzalcoatl».
Cioè?
«Il dio serpente era un serpente piumato che a un certo punto si era ritirato dal mondo ed era andato verso oriente. Era ritornato da dove era venuto. Tutti sapevano che sarebbe ritornato a occidente accompagnato a uomini bianchi e barbuti. Questo dio serpente viene identificato con Cortés, il quale fa di tutto perché lasciarlo credere. Ma la differenza fondamentale era il rapporto con il tempo. Gli Aztechi pensavano che il tempo fosse ciclico, che le cose si ripetessero. Il serpente piumato ritorna perché si sapeva doveva accadere. Ecco perché Cortes può essere agli occhi di Montezuma il serpente piumato. Un pensiero che ha il limite di non interpretare la storia come una conquista, un progresso».
Montezuma aspetta, Cortés indugia, questo stallo a un certo punto finisce...
«Cortés è obbligato a ritornare verso la costa dove alcuni soldati stanno massacrando dei Totonachi, ma durante la sua assenza si verifica un massacro generalizzato. Quando Cortés ritorna nella capitale trova una situazione totalmente diversa, è iniziata la fase finale, Montezuma viene fatto prigioniero e ucciso e così il grande impero azteco ha termine».
Lei è un attento studioso di Napoleone. Che differenze vede tra Napoleone e Cortés?
Napoleone non avrebbe aspettato tanto, sarebbe andato per le spicce». —
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