L’avventura d’oro del Signor Fissan
Domani si inaugura a San Giacomo la mostra permanente dedicata a Osiride Brovedani

C’è la sua borsa in cuoio, screpolata dagli anni, dalla quale non si separava mai. C’è la casacca a strisce bianche e azzurre con il numero 76306 che fu costretto a indossare nel periodo di internamento nei campi nazisti di Buchenwald, Dora, Belsen. C’è il quaderno originale sui cui scrisse le sue memorie da deportato. E poi ci sono le foto dei suoi viaggi e delle scalate con l’amico Emilio Comici, lettere familiari, appunti di lavoro, sedie e suppellettili dell’amata casa di montagna a Camporosso. E, ancora, documenti, fotografie e reperti di quella che fu la sua grande opera, l’impresa e la commercializzazione legata ai prodotti della Pasta di Fissan, un’attività che lo impegnò fino a creare un piccolo impero industriale che oggi sopravvive nella Fondazione che porta il suo nome: Osiride Brovedani.
Domani, alle 11.30, proprio per iniziativa della Fondazione Osiride Brovedani, nella palazzina del popolare quartiere di San Giacomo, in via Alberti 6, a Trieste, dove tutto ebbe inizio, verrà inaugurato il Museo “Casa di Osiride Brovedani”, 180 metri quadri di esposizione permanente che oltre a cimeli e testimonianze su vita e opera dell’imprenditore e benefattore, racconta con video e supporti multimediali la grande avventura di Brovedani. E alle 18, nella sala Zodiaco dell’hotel Savoia Excelsior Palace, il giornalista e storico Paolo Mieli terrà un incontro pubblico dal titolo “Il 1947, la questione giuliana, Osiride Brovedani” nella ricorrenza del settantesimo aniversario dei Trattati di Parigi e dell’amara esperienza dell’imprenditore triestino nei campi di lavoro nazisti. Sarà l’occasione per rileggere una storia forse ancora non troppo nota a tanti triestini e non solo, la storia di un uomo dalla personalità complessa che ha vissuto cavalcando le proprie ombre, e di un impero industriale sbocciato nelle cantine di un quartiere operaio come quello di San Giacomo.
Nato a Trieste l’11 febbraio del 1893 in una modesta famiglia composta dal padre Giovanni, impiegato all’Ufficio Esattoriale Comunale, dalla madre Noemi, casalinga, e dalle sorelle maggiori Aristea ed Armida, Osiride Brovedani è presto costretto a interrompere gli studi per aiutare, con il suo lavoro, il padre che non riesce a sostenere la famiglia. Il suo primo impiego è quello di galoppino tuttofare al giornale “Il Piccolo”. Ma il giovane Brovedani è un ragazzo versatile e intelligente che sa fiutare le occasioni e aggrapparsi agli appigli che offre la sorte. Presto da galoppino diventa correttore di bozze, poi trasloca come critico d’arte al giornale “Il Lavoratore”, che meglio esprime in quel tempo la sua ideologia politica. Nelle more del lavoro Osiride riprende a studiare per conto proprio, si diletta persino di teatro scrivendo un dramma mai rappresentato, e veste i panni dell’attore, interpretando a Capodistria una parte nella commedia di Sem Benelli “La cena della Beffe” nella Compagnia di Moissi.
Nel 1930 ecco la svolta. A una fiera a Milano Osiride conosce Arthur Sauer, inventore dei prodotti Fissan (dal latino “Fissuram Sanare”: sanare le screpolature), che gli offre di diventare rappresentante per tutta l’Italia delle sue creme e polveri. Brovedani fiuta l’affare e accetta di introdurre e propagandare quella che allora è una novità assoluta per la salute dell’infanzia. Gli inizi però sono difficilissimi. Lo aiuta la moglie Fernanda, che dopo aver lasciato l’impiego di commessa di boutique, lavora e lavorerà sempre accanto a lui, incoraggiandolo e sostenendolo. Presto Brovedani oltre alla concessione per la commercializzazione della Pasta di Fissan ottiene dalla Deutsche Milchwerke di Zwingenberg, anche quella per la produzione, che avvia nello scantinato della palazzina di San Giacomo dove abita, installando un piccolo laboratorio. Nasce così la ditta “Osiride Brovedani”. Ma Osiride non si limita a fare il titolare d’impresa: si trasforma in chimico, tecnico, propagandista medico, pubblicitario, venditore e anche distributore. Lavorata nella cantina-laboratorio da giovani operaie, la Pasta di Fissan viene confezionata in tubetti di alluminio con astucci muniti di “bugiardino”, realizzati a domicilio dalle famiglie del rione di San Giacomo. È lo stesso Brovedani - che si inventa anche la formula di due prodotti, Inavit e Inavit Base - a ritirare le confezioni e a distribuirle in bicicletta, contattando direttamente i medici che le prescrivono ai loro pazienti.
Nel 1944 l’esperienza drammatica che lo segnerà. A causa delle sue origini ebraiche Brovedani in luglio viene arrestato dai nazisti e rinchiuso nelle carceri del Coroneo. L’accusa ufficiale è di “ascoltare Radio Londra”. Pochi giorni dopo viene deportato in Germania dove lo attendono i campi di concentramento di Buchenwald, Dora, Belsen. Durante l’internamento scrive un diario che malgrado le pressioni di un suo compagno di prigionia, lo scrittore Giovannino Guareschi, verrà pubblicato solo postumo. Sopravvissuto ai campi di sterminio, quando Brovedani torna a Trieste, nonostante sia profondamente segnato o forse proprio per questo, riprende saldamente in mano le redini dell’azienda, che porterà avanti fino allo scadere della concessione. All’epoca della remissione Brovedani ha 72 anni, e ormai a Trieste tutto lo conoscono come il “Signor Fissan”. La casa madre, che aveva dato il via libera alla la costruzione di un nuovo stabilimento nella zona industriale di Trieste, non lo abbandona e gli propone l’incarico di amministratore, che lui naturalmente accetta. Dopo la sua morte, il 2 luglio 1970, la moglie Fernanda affiderà a Raffaele De Riù, storico collaboratore, il compito di amministrare la Fissan. In quegli anni, sotto la nuova guida aziendale, lo stabilimento triestino si ingrandisce e la produzione cresce con una vasta gamma di nuovi articoli per la cura della persona. Tre anni dopo la morte di Osiride, il 3 maggio 1973, viene costituita la Fondazione Brovedani, a tutt’oggi presieduta da Raffaele De Riù, ente benefico da oltre 50 milioni di euro fra beni immobili e finanziari che gestisce il convitto di Gradisca d’Isonzo, struttura da ottomila metri quadri coperti più quindicimila di parco che attualmente ospita gratis una settantina di anziani.
L’industria Fissan è passata di mano, ma la Fondazione continua a portare avanti l’impegno di un uomo la cui immagine - così ben interpretata dal murales di Mattia Campo Dall’Orto sulla facciata della palazzina-museo - rimanda a una persona abituata a stare due linee sotto il livello della sua statura. Un uomo che non amava apparire né sentirsi protagonista, che dava da mangiare ai gatti di San Giacomo, che elargiva ai bisognosi stando nell’ombra e che alla fine amava essere considerato uno qualunque. La sua statua in bronzo in Piazza San Giacomo, opera della scultrice di sovrani e celebrità Daphné Du Barret, sembra quella di un qualsiasi impiegato a spasso con la sua valigetta. Persino la casa-museo che si inaugura oggi se ne sta defilata e un po’ nascosta tra le vie Alberti e San Marco, in un edifico modesto, anonimo, dove è difficile immaginare ebbe inzio la grande avventura del “Signor Fissan”.
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