Latino americano, vince il Brasile ma il festival perde troppi pezzi

TRIESTE. Uno sguardo umanista sul Brasile degli anni 60', tra venti di cambiamento e lo spettro del golpe militare alle porte. È stato il film di André Ristum “O outro lado do Paraíso” a far breccia...

TRIESTE. Uno sguardo umanista sul Brasile degli anni 60', tra venti di cambiamento e lo spettro del golpe militare alle porte. È stato il film di André Ristum “O outro lado do Paraíso” a far breccia nella giuria e a vincere, ieri sera all'auditorium del Museo Revoltella, il Festival Latino Americano di Trieste come miglior film di questa trentesima edizione. La pellicola brasiliana, che sarà riproposta stasera alle 20, fa tripletta e incassa anche altri due riconoscimenti: quello per la migliore attrice, l'adolescente Maju Souza, «per la ricchezza dei registri utilizzati con grande talento e versatilità» e il Malvinas della giuria degli studenti per il suo affrontare «il tema della lotta per i propri diritti con delicatezza, attraverso lo sguardo di un ragazzino».

Doppietta, invece, per il cileno “La Once” (oggi alle 18), che si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria in quanto «saggio cinematografico sull'amicizia, sulla vecchiaia e la morte a partire da una lettura sorprendente», mentre è della sua giovane autrice Maité Alberdi la miglior regia, «per il suo sguardo lucido, audace e sottile attraverso una cinepresa che riesce a catturare la fragilità umana». Il pubblico ha premiato il costaricano “Presos” di Esteban Ramírez, sulla dura realtà delle carceri riproposto oggi alle 22, mentre la denuncia della repressione dei giornalisti in Argentina raccontata «con vigore e dignità» da Nicolás Martínez Zemborain e Oriana Castro in “S.C. Recortes de prensa” gli ha valso il maggior riconoscimento di “Contemporanea”.

Proprio varcando il suo traguardo più importante - l'edizione del trentennale - il festival ha però accusato delle falle di non lieve rilevanza. Si è iniziato con la defezione dell’ospite di punta, Renzo Rossellini: un improvviso problema di salute la motivazione, che ha impedito al produttore-regista di dare il via e guidare i giurati per tutta la durata della manifestazione. Appena il giorno dopo, altro evento speciale e altra defezione, stavolta per sopraggiunti, improrogabili impegni sul set, di Michele Diomà, regista prodotto da Rossellini.

Se la questione ospiti può rivelarsi un terno al lotto contro cui poco può l'organizzazione, non altrettanto si può dire del programma di sala, che ha visto sparire intere sezioni annunciate in conferenza stampa – tra l'altro suscitando notevole interesse - e presenti in catalogo. Così sorprende, e dispiace, che siano letteralmente saltate sezioni come “CaliWood”, non convenzionale sguardo verso la fucina fiorita nella città colombiana di Cali, divenuta piccola mecca cinematografica. Un approfondimento che si presentava particolarmente accattivante per le sue peculiarità scandagliate attraverso 15 lungometraggi, di cui però non c’è stata traccia.

Non pervenuto neanche “Salón España”, rassegna di 16 titoli dalla penisola iberica, da sempre una delle colonne portanti del festival. Non c'è due senza tre, ed ecco che anche la parte fuori concorso di “Contemporanea”, che avrebbe dovuto presentare una dozzina di produzioni, viene misteriosamente “inghiottita” e scompare definitivamente dalle proiezioni.

L'ossatura della programmazione si è retta soprattutto sui due concorsi principali, snellendo non di poco il programma di 120 opere annunciato dall'organizzazione alla presenza dei rappresentanti di Provincia e Comune, che sostengono il festival. Per il futuro è necessario un ripensamento strutturale che sappia meglio adattare l'offerta cinematografica alle sale deputate.

Federica Gregori

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