L’anima in versi di Tavan è riuscita a conquistare la scena musicale di Berlino VIDEO

Parte da Bologna e poi arriva a Udine e Maniago il tour di Marco Brosolo che ha firmato il disco “Cadremo feroci” dedicato al poeta di Andreis

di Alessandro Mezzena Lona

Federico Tavan, a Berlino, non lo conosceva nessuno. E sembrava un azzardo mettersi a recitare proprio lì i suoi versi in andreano, la variante del friulano che si parla a Andreis. Non per Marco Brosolo, convinto che quelle poesie sappiano parlare a chi vive in Friuli, in Germania. Oppure a Parigi, a Tokyo, ad Harlem.

Ed è proprio da lì, dalle poesie di Tavan, che il musicista pordenonese Marco Brosolo, che vive a lavora a Berlino dalla fine degli anni Novanta, è partito per costruire il suo progetto. Prima un ep acustico, “Volo sbranato”. Poi un disco vero, splendido: “Cadremo feroci”, che ha preso il titolo dall’anagramma dei nomi Federico e Marco. E che ha coinvolto il meglio della scena musicale berlinese. Da Barbara Morgenstern a Rudi Moser degli Einsturzende Neubauten, Toni Kater e Robert Lippok dei To Rococo Rot. Ma anche il francese Dominique A, il mitico Bobby Solo, Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori. E il pordenonese Polsi, che Brosolo considera «il più grande chitarrista italiano, perché sa far incontrare il rock con una psichedelia jazz».

Marco Brosolo in "Albero". La voce è di Bobby Solo

Da Pordenone, Brosolo ha raggiunto Berlino per la prima volta nel 1996. Senza sapere bene perché, «per istinto». Poi nel 1999 è tornato con una borsa di studio che gli ha permesso di perfezionarsi in tecnica del suono al Trixton Studio. Adesso che ha messo radici lì, ritorna in Italia per presentare il suo disco dal vivo. Mercoledì 9 sarà in concerto a Radio Città Fujiko di Bologna; venerdì 11 ospite speciale al Suns Europe Festival al Teatro Nuovo Giovanni da Udine; sabato 12 al Teatro Verdi di Maniago. Con lui suoneranno il batterista portoghese-belga-berlinese Dolf Sneijers e Ann Weller alle tastiere, sintetizzatori, che canta in alcuni brani, più alcuni ospiti.

Portato in manicomio per la prima volta quando aveva 12 anni, alla morte di sua madre, Federico Tavan ha raccontato in versi la sua vita dolorosa e piena di sogni e visioni, amore e delusioni. Considerato uno dei grandi poeti del ’900, è morto nel sonno il 7 novembre del 2013 nella sua casa di Andreis. Il giorno prima aveva compiuto 64 anni.

«Da quando vivo a Berlino sono riuscito a vedere da vicino personaggi fantastici - racconta Marco Brosolo -. Un nome per tutti: direi i Portishead. Così, come se ci fosse lì qualcuno a provocarmi, mi sono chiesto: nel Friuli Venezia ci saranno artisti interessanti che io possa proporre in questo contesto europeo e, al tempo stesso, internazionale?».

Cosa cercava esattamente?

«Autori, poeti che collaborassero con me. Che scrivessero, insomma, dei testi per le mie canzoni. Qualcosa di nuovo, di non già sentito».

E com’è andata?

«Mi hanno proposto diversi scrittori. Io mi sono innamorato subito delle poesie di Federico Tavan. E quando sono andato per la prima volta a Montereale nella sede del Circolo culturale Il Menocchio, che mi ha aiutato moltissimo, ho saputo che proprio quel giorno Federico usciva dall’ospedale dopo molti anni. Io sono entrato nel suo mondo quando lui se ne andava dalla clinica psichiatrica».

Una fortuna vederlo da vicino?

«Sono passati quattro anni da quell’incontro. Ho registrato tutta la nostra chiacchierata. E devo dire che Federico, considerato “un matto”, una persona da cui girare alla larga, mi ha dato una lezione di lucidità sulla natura e sull’essenza dell’uomo. Come poche volte mi era capitato. E devo aggiungere che, in quel momento, Tavan si trovava in una situazione davvero difficile. Sia dal punto di visto fisico che mentale».

Cosa ha trovato nelle sue poesie?

«Le ho sentite subito come dei ritratti spirituali. E poi, leggendole, mi dicevo che quelle poesie avrei potuto scriverle io. Non perché mi consideri bravo a comporre versi. Ma perché mi identificavo con quello che Tavan andava raccontando».

Quei versi sono diventati canzoni?

«Ho scritto subito i cinque brani dell’ep “Volo sbranato”, che il Circolo del Menocchio ha voluto chiudere dentro un cd».

E poi?

«Sono tornato a Berlino. Ho cominciato a parlare di Tavan a tutti gli amici. E mi sono reso conto di un fatto importante: nonostante il mio tedasco non certo brillante, loro riuscivano a cpire di che cosa stavo parlando. La poesia di Tavan arrivava senza bisogno di traduzione. Forse perché Federico scriveva come un bambino. Un bambino picassiano, geniale».

E allora?

«Mi sono trovato a cantare per tanti tedeschi delle canzoni con i versi scritti nel friulano di Andreis. E loro erano estasiati. Da lì è nata l’idea di trasporre Federico, il suo mondo, la sua lingua, in un progetto che coinvolgesse gli artisti più diversi. Del resto, lui stesso diceva che Parigi è un sobborgo di Andreis».

L’ultima volta che l’ha visto?

«Mi ha chiesto in lacrime: “Portami a morire a Parigi”. Ma sarebbe stato facile, anche perché è impossibile uccidere un immortale. Si è spento nel sonno a casa sua, il 5 novembre del 2013. Il giorno prima aveva compiuto 64 anni. Eppure è vivo, nei versi altissimi che ha scritto».

“Cadremo feroci” nasce in un contesto internazionale...

«La prima lingua che ho voluto usare è il francese, cantato da Dominique A. Proprio per rendere omaggio al grande amore di Federico per Parigi. E poi, il tedesco, l’inglese, il giapponese, le ho inserite proprio per dimostrare come dialogano perfettamente con il friulano. Ho coinvolto artisti tedeschi come Robert Lippok dei To Rococo Rot, Barbara Morgenstern, Rudi Moser degli Einsturzende Neubauten. Ma anche Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori, oppure il grande Bobby Solo. Insomma, la musica da Festival di Sanremo riesce a dialogare con la scena più innovativa».

Contrasti messi in armonia dai versi di Tavan.

«Con alcuni artisti collaboravo già, comer Barbara. Quindi è stato più facile spiegare il progetto. Con gli altri, la forza dei versi è divampata dentro di loro come fuoco».

Quanto ha influito la malattia sulla vita di Tavan, sulla poesia?

«A volte penso che Daniel Johnston, definito “il più grande outsider dell’ultima scuola di cantautori americani”, non è più malato, più “matto” di Tavan. Federico ha trovato tante persone ignoranti, gente che non gli voleva bene. La sua malattia non è stata compresa, curata. E poi, chi lo voleva aiutare, non trovava terreno facile: lui era come una candela che brucia a doppia velocità rispetto alle altre».

Lo conoscono poco in giro per l’Italia, in Europa.

«Aspettiamo da due anni che la casa editrice Forum di Udine pubblichi la sua autobiografia, straordinaria. E poi si dovrebbero promuovere traduzioni in altre lingue, perché lo conoscano al di fuori del Friuli Venezia Giulia».

Perché ha scelto di vivere a Berlino?

«Non so dirlo. Non sono ancora riuscito a mettere a fuoco il perchè. Certo che, in questi anni, mi sono fatto conoscere. Ho collaborato con artisti importanti. Con Barbara Morgenstern e il suo coro abbiamo musicato dei film muti contemporanei. Inventando una rassegna, Moving Silence, che si ispira alle Giornate del cinema muto di Pordenone».

E dopo questo disco?

«Ho in cantiere un nuovo progetto. I pezzi li ho scritti io, e spero che saranno all’altezza dell’ondata “feroce”. Le collaborazioni sono state utili per massaggiare il mio ego, però non so se coinvolgerò anche stavolta musicisti famosi».

alemezlo

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