L’amore impossibile di Boris Pahor: dopo quarant’anni esce “Oscuramento”

Il racconto autobiografico dello scrittore triestino di lingua slovena precede le vicende del capolavoro “Necropoli” sui lager
Rossana Paliaga

TRIESTE. Trieste è una città difficile, che si lascia raccontare in modi diversi, spesso sopportando visioni parziali e distorte. Ha troppi volti per essere colta nella sua immagine più autentica e per l’autoctono è proprio la serena accettazione della non definizione a dipingerne l’unico ritratto possibile. Le contraddizioni delle molte storie che possono restituirne l’identità sono state tracciate dallo scrittore Boris Pahor con immagini dirette e appassionate, tese tra il senso di libertà del mare e la cupa angoscia del periodo bellico e postbellico vissuto in prima persona.

L’amore per questa città pervade come coprotagonista il suo romanzo “Oscuramento (Zatemnitev)”, pubblicato per la prima volta nel 1975 e che oggi apparirà per la prima volta nelle librerie nella traduzione italiana (La nave di Teseo, pagg. 480, 21 euro). La nave di Teseo ha già pubblicato precedentemente i suoi romanzi “Una primavera difficile” e “Il rogo nel porto” e ha affidato questa nuova traduzione a Martina Clerici.

In senso biografico, “Oscuramento” è il capitolo che precede “Necropoli”. Il titolo esprime il senso del Nulla lasciato dalla sorda violenza del fascismo e del nazismo, ricorda le carte blu alle finestre delle case triestine durante il coprifuoco, l’infanzia e la giovinezza delle quali è stata depredata la generazione dell’autore, non da ultimo è un richiamo ai versi di “Tragedia sull’oceano” di Kosovel, dove “le tenebre si fan gioco di tutto” mentre si assiste al naufragio del mondo.

Tutto è purtroppo credibile in questo racconto autobiografico che parla di persone e fatti reali, nascondendoli soltanto sotto altri nomi, da quel Radko Suban che è l’alter ego di Pahor, fino alla centralità della tragedia della famiglia Pipan (ovvero Tomažič, quelli del celebre buffet da Pepi), con un figlio condannato nel secondo Processo di Trieste e la figlia uccisa con il marito nel mai chiarito assassinio di via Rossetti e che qui appare come la protagonista femminile del romanzo, Mija.

Nel romanzo Radko e Mija si scoprono innamorati quando lei è già sposata e con un marito in prigione e lui sta cercando finalmente di trovare la propria strada e un ideale per il quale combattere. L'amore li coglie quando la città sta collassando inesorabilmente nel buio e diventa il tentativo tenace e disperato di contrastare il destino.

Oscuramento racconta le tappe della burrascosa giovinezza dell’autore: da bambino vive la forzatura dell’epurazione culturale, studia in seminario, viene inviato dal Regio Esercito italiano in Libia, ottiene la maturità in Cirenaica e frequenta l’università a Padova, fa da interprete per gli ufficiali jugoslavi prigionieri di guerra sul lago di Garda, ritorna dopo l’armistizio a Trieste, dove l’attività pubblicistica clandestina lo rende preda dei collaborazionisti sloveni che lo consegnano agli occupatori nazisti, alla prigionia e alla deportazione nei campi di sterminio. Un uomo che abbia il dono della scrittura non ha bisogno di cercare altrove per riempire le pagine di molti libri.

Quello che più colpisce in queste pagine è la verità del testimone, che non concede al lettore la consolazione dello scetticismo rispetto alla cronaca immaginata dallo scrittore. Impressionano le situazioni e i personaggi, persone comuni che diventano loro malgrado vittime della storia, quando nelle celle del Coroneo si ritrovano non criminali, ma garbati signori strappati alle loro case, al posto di lavoro, a un pomeriggio in osteria. Persona comune è anche Radko/ Boris, la cui forza e rivalsa, dopo essere sorprendentemente sopravvissuto al diluvio universale, risiede nella penna e nella capacità di raccontare quanto non si trova nei libri di storia, ovvero le pieghe più nascoste di un assurdo «oscuramento» delle coscienze.

Il romanzo parla e riflette in modo diretto, come è tipico di Pahor, ma attraverso un filtro letterario che la traduzione ha saputo rendere con grande vivacità. Ribadisce la verità, vista da dentro, di un triestino costretto continuamente dalla storia ad attaccarsi etichette che non gli possono appartenere, che condanna assieme fascisti, nazisti, comunisti e il viscido collaborazionismo dei “forestieri” emissari da Lubiana. Lui ama Leopardi e Prešeren, legge “Il Piccolo”, l'”Adria Zeitung” e le riviste slovene. La sua reazione alla reiterata repressione di una condizione naturale di triestino multiculturale è inevitabile ed esistenziale, più che politica, e queste pagine lo spiegano con argomentazioni dettagliate.

Come molti, anche il protagonista risulta colpevole di un'approvazione degli ideali del Fronte di liberazione che non arriva nemmeno all’attivismo, ma che basta a condannarli tutti all’inferno. Metà del romanzo parla di Bildung e amore, l’altra precipita nella violenza fisica e psicologica che suscita una profonda riflessione sulle contraddizioni, gli errori e i fatali malintesi della storia, ma soprattutto della coscienza triestina. Il tema ricorrente nei pensieri di Suban/ Pahor è il trauma inferto ai bambini nati al tramonto dell’Impero, ai quali la scuola stessa ha imposto di lasciare fuori dalla porta la propria ancora fragile identità come fossero scarpe infangate, perchè diventati improvvisamente “colpevoli prima ancora di imparare a sillabare”. Rimane impressa l’immagine del bambino zittito dalla madre sulle Rive per proteggerlo dalle conseguenze dell’utilizzo della lingua familiare mentre tenta di esprimere soltanto la gioia di far galleggiare una barchetta sul mare della sua Trieste.

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