L’allarme del medico Babille: «La Jihad vuole il mondo»

TRIESTE. Sarà anche per la recrudescenza dei recentissimi attentati ma si esce attoniti e quasi storditi dall'incontro con Marzio Babille organizzato da L.ink, iniziativa legata al Premio Luchetta. Il medico triestino - Premio San Giusto d’oro nel 2007 - appena rientrato dalle zone che infiammano il Medioriente dove da anni vive, forte di un'esperienza maturata come responsabile Unicef, Onu e ora anche come collaboratore del Ministero degli Esteri, parla di jihadisti e di Stato Islamico con una lucidità da pugno nello stomaco, tipica di chi vive quotidianamente il dramma sulla propria pelle tentando di assistere gli sfollati. Un'occasione unica di ascoltare la viva voce di un testimone diretto che sarà riproposta lunedì, 29 giugno, alle 19 nel cortile del Palazzo della Regione quando Babille dialogherà con Adriano Sofri focalizzandosi sulla Siria.
Riflessioni che prendono vita dal primo quesito che tutti in queste ore si pongono: il venerdì nero del Ramadan poteva essere previsto? «La spettacolarizzazione degli attentati fa parte di un'attenta strategia militare – spiega Babille - non differente da quando l'Is ha attaccato Rahmadi poche settimane fa: una città che si professava presidiata e sicura attaccata di colpo da sette kamikaze su quattro diversi fronti, perciò non sono per niente sorpreso. Dal 18 giugno al 16 luglio poi, il Ramadan è un periodo in cui storicamente le azioni militari di parte jihadista aumentano, perciò come ci dobbiamo aspettare un incremento sia di attacchi che di contrattacchi, così ci attendiamo un enorme aumento di vittime civili».
«Sbaglia chi continua a guardare agli episodi singoli – continua il medico -: il jihadismo è un metodo di azione, un approccio politico strategico nel disegno di un'espansione islamista globale. Isis guarda a un progetto di offensiva globalizzato, un progetto dove i suoi membri bruciano i passaporti e diventano una cosa nuova, espressione di una nuova ideologia. Hanno la capacità di colpire tutto, dal check point a una gelateria, e usano la comunicazione creando intimidazione e rispetto. Solo un'unitarietà di intervento dei governi può oggi proteggere i civili, soprattutto i più fragili e difficili da proteggere, quelli che si muovono». Cifre da capogiro, con quattro milioni di sfollati tra Siria e Iraq, con un'elevatissima, preoccupante percentuale di bambini sotto i 14 anni. Ma gli interventi di risposta umanitaria hanno subito un progressivo prosciugamento delle risorse negli ultimi mesi.
Se la frammentazione dei Paesi è lo spettro, tenere insieme il puzzle sembra essere la parola d'ordine. «Il rischio più grave è quello di una frattura rapida e irreversibile. Gli analisti prevedono che nasceranno sette nuovi Paesi, due che si origineranno dalla Siria, due dallo Yemen e ben tre dall'Iraq». Occorre utilizzare i numeri per anticipare le risposte, per Babille, e se parlare di emergenza è sbagliato bisogna invece considerare i periodi di medio e lungo periodo. «È una crisi che va studiata e gestita con strumenti efficaci dal punto di vista dei costi ed efficaci per mantenere la nostra idea e la nostra cultura, cui va contro questa guerra santa per il controllo non di una città ma del mondo intero».
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