L’Addio al nubilato al buio di quattro ragazzacce romane

In Italia la tradizione della commedia sofisticata (che negli Usa dagli anni ’30 in poi non è mai tramontata) ha avuto alti e bassi, schiacciata dalla commedia popolare e dalla farsa. Ci furono nell’anteguerra i “telefoni bianchi”, negli anni del boom alcuni registi più predisposti come Comencini (“Mogli pericolose”) e Luciano Salce (“Ti ho sposato per allegria”), vi si sono dedicati a volte più di recente i Vanzina (“Le finte bionde”).

Fa simpatia allora il coraggioso tentativo odierno di Francesco Apolloni (“La verità, vi prego, sull’amore”) di rinverdire il filone. In “Addio al nubilato” getta nella mischia quattro giovani attrici in una tipica “screwball comedy”, una di quelle commedie “svitate” basate su ritmo, malizie ed equivoci, ambientate in astratti luoghi chic, di cui erano regine la Hepburn negli Usa e la Vitti da noi. Qui la storia - inno all’amicizia e all’anticonformismo con una punta di mélo - è quella di quattro giovani romane (Laura Chiatti, Chiara Francini, Antonia Liskova e Jun Ichikawa), convocate “al buio” in vari luoghi della città a festeggiare il prossimo matrimonio di una quinta, storica amica del liceo, che però non si fa mai vedere.

In questa corale “caccia al tesoro”, intessuta di fitti dialoghi e scontri fra personalità, il rischio di perdersi, per le interpreti e per il film, era molto alto. Invece le quattro ragazze terribili non deludono per verve, sana follia ed empatia, e in questa “notte da leoni” al femminile non si sente la mancanza di un mattatore. Nel quartetto, spiccano la “fotografa” Chiatti per intensità e l’”aspirante attrice” Francini per comicità, in un ruolo alla Sandra Milo. Esilarante il pre-finale nella suite d’hotel, commovente il cameo in videomessaggio di Loredana Bertè. Perché nessuna delle quattro, alla fine, vuole essere “una signora”.

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