La vita di ogni giorno è più facile se letta a voce alta

La triestina Annalisa Perini ha dalla sua un’ampia gamma di registri narrativi, giornalista e autrice, ha alle spalle il romanzo “Arianna e Luca” (Demetra/Giunti) e diverse operazioni – dal teatro alla sceneggiatura radiofonica – che hanno a che fare con la scrittura, collegata al tempo e alla dimensione più colloquiale. Perciò non stupisce questa sua ultima prova, “Potrei avere l’orticaria. Racconti a voce alta” (Battello Stampatore, pag. 127, euro 10,00), dal 3 settembre in libreria, un florilegio di narrazioni alimentate da diversi stili. D’altra parte lo dice già il titolo, segni e oralità sono saldamente legati. Il titolo, come osserva Elvio Guagnini in prefazione: «è indicazione preziosa, non solo per la poesia ma anche per la prosa: la lettura a voce alta, vero test per il testo, per ciò che concerne la sua tenuta». Contrariamente alle aspettative, non ci troviamo di fronte a racconti lineari. Non sono trame in cui c’è un inizio e una fine. La vena di Perini, almeno per tutta la prima parte del libro, è dedita alla short story e nella piccola storia ci restituisce una sorta di flash quotidiani. In fondo tutto è reale, ma tutto ci appare anche surreale, insomma una specie di entrata della realtà nella surrealtà, quasi a dimostrarci quanto sia strana anche la più abitudinaria esistenza, e soprattutto non priva di ironia. I pensieri più bizzarri o le riflessioni più concrete, possono scaturire dalle azioni più inutili, come soffermarsi a osservare i frammentari dialoghi di tre ragazze in un bar. O ancora raccontare di Lenot, strano individuo il cui unico difetto – la dimenticanza – contiene tutti gli altri. La singolarità della raccolta sta anche nella struttura dei microtesti e non solo perché Perini attraversa lo spettro dei generi, dalla poesia alla prosa. Spesso la dimensione onirica è determinata dal ritmo colloquiale, senza che vi sia appunto indicazione su chi sta parlando e perché. Così accade nella storia “Fiori”, dove solo dopo un’attenta lettura intuiamo chi sono i protagonisti e qual è il significato delle loro azioni. Proprio questo tipo di incantamento, di spaesamento narrativo, ha la capacità di immetterci in una realtà potenziata.
Perché in fondo Perini ci mostra tutto ciò che può accadere ogni giorno, senza troppi chiarimenti descrittivi, ci può accompagnare a osservare lo smarrimento di una vedova in un cimitero, fino al racconto di un bacio rubato dietro a una chiesa, più simile all’ingestione di una lumaca che al romanticismo sotto il chiaro di luna. O ancora ci indica l’annoiata posa intellettualistica di due annoiati conformisti, che naturalmente credono di non esserlo. Ma la scrittura, appunto, è provocatoria, tende a destrutturare qualsiasi linearità e procede verso le sue sperimentazioni. Sentimenti e caratteri sono ideati senza alcuna enfasi, piuttosto sfruttando le figure retoriche che la letteratura mette a disposizione. Anche i testi in versi come “La mia città” o “Rebus” appaiono puliti, essenziali, tanto da ricordare un climax szymborkiano. L’avere praticato diversi generi, si esprime anche nei gialli della seconda parte, uno dei quali si sostiene su una struttura di puro dialogo, cosa impossibile se l’autrice non avesse scritto diverse sceneggiature radiofoniche. Sono racconti, appunto, da leggere a voce alta. E per comprenderli forse non basta scorrerli una sola volta, anche in ciò simili alle esperienze della vita. —
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