La via Emilia al comunismo attraverso l’epopea di Cavriago dove resiste il busto di Lenin

Massimo Zamboni, chitarrista dei Cccp, racconta l’incredibile storia di un paese Dal dancing Caprice gestito dal Partito alla rischiosa gita scolastica a Trieste
Fabio Dorigo



La via Emilia al comunismo. A Cavriago, provincia di Reggio Emilia, il sole dell’avvenire non è mai tramontato. E la bandiera rossa sventola. Rosso lambrusco. Massimo Zamboni, chitarrista e compositore del gruppo punk-rock italiano Cccp (poi Csi), nato a Reggio Emilia nel 1957, resta fedele alla linea. E lo racconta in un libro ricco e denso di storie e fatti incredibili. “La trionferà” (Einaudi, pagg. 234, euro 19,50) è il resoconto documentassimo di un’epopea rossa resistente (non resiliente). Cavriago, una Leningrado in miniatura, è un microcosmo che incrocia la grande storia del Novecento. A Cavriago già nel 1887 si costituisce il primo circolo socialista. Nel 1888, con Alberto Cavour Bertaini, viene inaugurato il funerale civile al suono della Marsigliese. A lui seguirono un’ottantina di sepolture in terra sconsacrata sotto “una lapide con il martello in pugno e il sole sorgente”. A Cavriago passa la linea ferroviaria Reggio-Ciano, la «prima al mondo a essere costruita da una cooperativa».

Ottobre 1917. «I dieci giorni che sconvolsero il mondo sconvolsero anche Cavriago» scrive Zamboni nei panni di John Reed. Cavriago anticipa i tempi e brucia le tappe della rivoluzione. Il 6 giugno 1919 i compagni di Cavriago, che conoscono a malapena l’italiano, emanano un ordine del giorno di sostegno agli spartachisti tedeschi e di appoggio al programma del Soviet di Russia e al suo capo Lenin. Riescono nell’impresa di fare pubblicare un trafiletto sull’”Avanti!” che arriva a San Pietroburgo e atterra sulla scrivania di Lenin. «Leggo una corrispondenza sulla vita del partito da una località chiamata Cavriago (un angolo sperduto, evidentemente, perché non si trova sulla carta geografica) dove gli operai hanno approvato una risoluzione in cui si esprime simpatia agli spartachisti tedeschi. Dichiarano di simpatizzare per il programma dei sovietisti, persino nel momento in cui questo programma non è ancora tracciato» ironizza Vladimir Il'ič Ul'janov. «Fedeli alla linea anche quando non c’è» commenta Zamboni che sulla fedeltà alla linea ha costruito una carriera musicale.

C’è anche un ricordo personale che riguarda la rossa alabarda: «Un giorno che ci troviamo a Trieste in gita un paio di giovanottoni vestiti da fascisti ci sorprende mentre stacchiamo da una parete un manifesto del Fronte della gioventù. Miagolano: “Braaavi compaaagni”. Si avvicinano con calma studiata, sembrano due ghepardi, due iene, hanno le mani in tasca e il minuto che passa prima che se ne vadano - avendoci giudicato meno che idioti - è tra i più lunghi della mia vita» scrive Zamboni.

Il resto è storia. Cavriago entra a diritto a far parte dell’arcipelago comunista. Essere comunisti a Cavriago non è mai stata una scelta. Era una vocazione. In piazza Lenin resiste ancora una copia del busto in bronzo di Lenin (l’originale è in biblioteca). L’opera, fusa nel 1922 nella città ucraina di Lugansk, è stata donata a Cavriago nel 1970 in occasione del centenario della nascita di Lenin. Un comunismo frizzante come il lambrusco che si alimenta di rane e gnocco fritto. A Cavriago il socialismo è più reale che in Russia e nei Paesi dell’Est Europa. Non ci sono santi né frati volanti (quelli mandati dal cardinal Lercaro con i megafono e le Fiat 1100) a cambiare il corso della storia di Cavriago. E neppure le riprese del film su Peppone e don Camillo (autorizzate dopo un acceso dibattito pubblico per l’indotto economico). Il 6 gennaio 1963 viene inaugurato il dancing “Caprice” di Cavriago, probabilmente il primo locale notturno al mondo gestito da un partito comunista. Gare di ballo con in palio “una pelliccia di visonetto”. A Cavriago arrivano tutti, dagli inviati della “Pravda” all’astronauta sovietica Valentina Tereskova, all’ambasciatore Nikita Rijov al direttore del coro dell’Armata rossa, generale Viktor Eliseev. «Che cos’è questo paese di provincia italiano? È una stretta strada asfaltata che gira prima a destra e poi a sinistra» scrive il corrispondente Vladimir Jermakov nel 1965. «Ma che avete, voi di Cavriago?» chiede il giornalista. «Di noi, anche Lenin ha parlato» è la risposta univoca.

Il Caprice è diventato Golden Music. Ma il resto non muta. «Sapessero che ci si rivolge al busto come “lo zio”. Sapessero che al posto del presepio c’è chi nel seminterrato di casa ha costruito per i nipotini una natività di cartone nella quale l’incrociatore Aurora spara cannonate contro il Palazzo d’Inverno, con la cattedrale di San Basilio sullo sfondo» ricorda Zamboni. Ma i Lenin di Cavriago, quello originale e la sua copia, resistono. «Al suo fianco giovani coppie si scambiano promesse di matrimonio, mani premurose depongono fiori, garofani, gerbere scarlatte. Persino una mascherina azzurra contro il virus». In attesa dello Sputnik. —



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