«La Via della Seta? Meglio negoziare coi cinesi quando si hanno ancora i margini per farlo»

Il nuovo libro del giornalista Francesco De Filippo raccoglie colloqui con manager, industriali, economisti sul futuro del Porto di Trieste 
China, Hong Kong, street at night
China, Hong Kong, street at night

TRIESTE «Possiamo essere perplessi di fronte all’arrivo dei cinesi, ma un sano realismo non guasta: è meglio negoziare con loro quando ancora abbiamo margini per farlo». A pochi giorni dalla visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping e dalla firma del memorandum d’intesa tra il porto di Trieste e il colosso il colosso cinese Cccc, Francesco De Filippo, scrittore e direttore dell’Ansa Fvg, compendia così il punto di vista di chi vede nell’accordo con i cinesi una opportunità, seppur da maneggiare con attenzione. All’arrivo del Dragone De Filippo ha dedicato un libro, ‘La Nuova Via della Seta. Voci italiane sul progetto globale cinese’ (Castelvecchi, 96 pagg. 13,50 euro), una raccolta di interviste con i massimi esperti del settore.

De Filippo, con l’accordo di pochi giorni fa Trieste è diventata l’ultima tappa adriatica della ‘Via della seta’. Come si è arrivati a questa soluzione?

«Inizialmente i cinesi volevano fermarsi al porto del Pireo, che avevano acquistato quando la Grecia era in grosse difficoltà economiche, e da lì contavano di costruire una ferrovia lungo i Balcani. Poi si sono scontrati con le difficoltà di un territorio pieno di montagne e soprattutto con le incertezze legate a una zona non pacificata. Allora hanno pensato che potevano raggiungere ugualmente l’Europa continentale prolungando il viaggio per mare di altre ventiquattro ore arrivando a Genova, Capodistria, Venezia e Trieste. Ma Genova è spezzata in due dal crollo del ponte, Capodistria ha un approccio ancora poco capitalistico e Venezia, tra le crociere e il traffico commerciale, è un porto saturo. Così hanno scoperto che tra tutti Trieste è il porto con le infrastrutture migliori, servito ottimamente dalla ferrovia, con fondali molto profondi».

Lei ha intervistato manager, esperti, industriali ed economisti che conoscono la Cina e le dinamiche del mercato, dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia al Presidente di Assicurazioni Generali Gabriele Galateri di Genola, da Andrea Illy per arrivare agli economisti Loretta Napoleoni e Dominick Salvatore. In particolare Zeno D'Agostino, numero uno del porto di Trieste, risponde a molti degli interrogativi di questi giorni.

«Intanto D’Agostino ha blindato il porto creando una cornice giuridica con una regia unica, in cui i cinesi si potranno muovere ma senza impossessarsi di tutto. Poi la sua idea è ‘facciamo venire i cinesi ma facciamo in modo che a lavorare siano innanzitutto gli italiani’, così potremo dare una impronta italiana ai prodotti semilavorati che arrivano dalla Cina, dando ad essi un valore aggiunto, una qualità e un prezzo superiore».

Tutti gli intervistati sono d’accordo che l’arrivo dei cinesi sia inevitabile?

«Bisogna essere prudenti, certo, ma in fondo tutti concordano che la spinta è troppo potente. Parag Khanna, esperto mondiale di logistica e geopolitica, dice una cosa fondamentale. Tra qualche anno nel mondo ci saranno cinquanta citta super collegate, che dialogheranno tra loro in un modo che non siamo in grado di prevedere, queste cinquanta super citta formeranno la parte principale del pianeta, tutto il resto sarà provincia. Detto questo, ritengo che la penetrazione cinese sia quasi antropologicamente inevitabile, per certi aspetti assomiglia al comportamento che avevano gli antichi romani con i popoli del loro impero. Per ora si limitano a una invasione commerciale, dietro cui sicuramente si nascondono ambizioni espansionistiche. L’eventuale ostracismo italiano non li fermerà, hanno intelligenza e capacita finanziaria per trovare un'alternativa».

Gli americani, che hanno in atto una guerra dei dazi con i cinesi, fanno forti pressioni sull’Europa e sull’Italia.

«Fanno i loro interessi, ma anche se siamo sotto l'ombrello della Nato, dal punto di vista commerciale come si fa a dire di no? L'Europa rischia di essere il vaso di coccio tra Usa, Russia e Cina, ma oggi abbiamo ancora una seppur piccola possibilità di negoziare con i cinesi, quando diventeranno più forti non potremo negoziare più nulla e dovremo abbassare la testa».

La Cina è cambiata molto negli ultimi vent’anni, qual è quella che abbiamo di fronte?

«È un paese dove c’è una corruzione dilagante e una mafia spaventosa, in cui le autorità sono informate di tutto. Centinaia di migliaia di cinesi emigrano nel resto del mondo, un flusso favorito dal governo per vari scopi, come quello di entrare in altri paesi e capirne il funzionamento, essere insomma delle antenne di Pechino, e secondariamente garantire la possibilità che queste persone mandino le rimesse al paese di origine contribuendo al suo arricchimento. Ma dietro il paese comunista e capitalista rimane la trama di una civiltà antica, fondata su un sostrato culturale forte. Per immaginare cosa è diventata la Cina oggi pensiamo che negli ultimi cento anni ha avuto milioni di morti di cui non sappiamo niente, è passata in mezzo a guerre e atrocità terribili. Mao, che si dava l’obiettivo di garantire una ciotola di riso al giorno per ogni cinese, aveva di fronte una Cina che moriva di fame».

Secondo lei il treno cinese è l'ultima grande occasione che ha Trieste per rilanciarsi?

«Non so se è l’ultima, ma non bisogna sprecarla. È impensabile dire che non si vuole avere a che fare con loro, eppure vedo resistenze di campanile. Se la Germania non è in grado di negoziare da pari a pari, come può farlo una regione di un milione di abitanti?». —


 

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