La via Appia nascosta da Roma a Brindisi fra pastori e cemento

Paolo Rumiz racconta i suoi 29 giorni di cammino lungo la direttrice romana dimenticata e rovinata
Paolo Rumiz
Paolo Rumiz

TRIESTE Non un libro di viaggio e nemmeno una meditazione sull'erranza, il nuovo libro di Paolo Rumiz, dal semplice e incisivo titolo "Appia" (Feltrinelli, 384 pp, 19 euro) in libreria dal 9 giugno, è un animale strano. «È un atto corporale di attraversamento» lo definisce l'autore. È un libro scritto con i piedi, ancorato a terra. Il libro di un viandante che, nell'estate del 2015, percorre a piedi l'intera via Appia: la grande strada romana che come una linea tracciata dal pensiero partiva da Roma e puntava verso Oriente, fino a Brindisi. Il cammino di Rumiz è prima di tutto un'impresa di restituzione, perché di questa via regina, che fu il sogno o forse il delirio di un console romano ambizioso e scostante, rimane solo una traccia flebile, un sentiero spezzato infestato dai rovi, sotterrato dal cemento degli svincoli e degli appalti corrotti, dimenticato da chi ci abita attorno.

 

 

Rumiz parte da Roma con un piccolo gruppo di sodali, in un giorno di pioggia che mostra il peggio della capitale. Davanti a lui 612 km e 29 giorni di cammino. Per dovere civico, prima ancora che per un a certa attitudine al nomadismo e il piacere della scrittura. A guidarlo la suggestione liceale della quinta satira di Orazio, la satira del viaggio e dell'eros, la più evitata dai professori benpensanti. Si parte con una benedizione nella casa dei figli di Antonio Cederna: il cammino ha già l'aria di un rito secolare, di un destino che va compiuto.

Fino a Terracina è una lotta con la pioggia, inevitabili autobus, la gente che guarda con sospetto i viandanti. Che stanno mai a fare? A piedi fino a Brindisi? Siamo matti! In quest'epoca di distanze veloci, tempo precipitoso! Ma loro avanzano e raggiungono il vecchio confine dello stato borbonico. È un'Italia che cambia. Scendendo verso Scauri muta la parlata, il passo delle donne è più provocante, le acconciature maschili più elaborate, ci sono più immondizie e cani randagi.

 

 

Si fa fatica a seguirla questa via regina che a tratti si inabissa, diventa impercorribile per le sterpaglie, e senza il gps e l'abile aiuto di Riccardo Carnovalini, cercatore di vie, chissà quante volte l'avrebbero perduta. Ma il cammino procede sicuro fino alla Campania felix, dove verrebbe voglia di darsi alla pazza gioia come i due giovinastri del "Satyricon" e poi finalmente Capua, dove finisce la prima parte del tracciato.

Questo attraversare il Sud Italia di Rumiz non è tanto un tracciare una mappa di monumenti e bellezze, anche se ne sarebbe tentato, se non altro per dare man forte ai molti archeologi che combattono solitarie battaglie di difesa. Ma è piuttosto un procedere per incontri: il pastore di Gravina o l'amico Vinicio Capossela, lo scrittore Raffaele Nigro che compare come un'apparizione a Venosa. È un riaprire a forza la questione meridionale attraverso il simbolo dell'Appia, fino a spingere il ministro Franceschini a prendersi l'impegno di un nuovo progetto di recupero dell'Appia antica, per farla rinascere come un più importante cammino di Santiago. Ma questo attraversamento fino a Brindisi è anche un magnifico "inghiottire il Paese a forchettate" con tutti i sensi all'erta, gustare fave e cicoria, cardoncelli fritti, pane cotto nell'aglio e peperoncino, ricotte e pecorini, e il vino ghiacciato o corposo, Aglianico o Moscato di Vallemarina.

Rumiz arriva alle porte di Avellino, dove è forte la tentazione di lasciarsi andare all'estetica dell'abbandono, il sortilegio della bellezza in rovina che incantò Goethe ma rischia di far dimenticare le responsabilità e lasciare che una grande parte d'Italia si inabissi tra incuria e appalti milionari. Attraversa una Basilicata di pastori scontrosi come guerrieri e gang della camorra adolescente. E infine ecco la Puglia: l'apparizione mitica dello Ionio, il più greco dei mari, assieme ai fumi velenosi dell'Ilva di Taranto. Per un attimo si perde la via, il cemento soffoca il tracciato e anche il gps rimane intrappolato in un deserto di guardrail: niente, l'accesso a piedi a Taranto è negato. Ma Brindisi è raggiunta, d'un fiato e con un tuffo. Il cammino è compiuto.

Sarà poi compiuto altre tre volte, più rapidamente e nei due sensi, per verificare, annotare, raccogliere ultime testimonianze, ciò che serve a trasformare il gesto del camminare in un racconto scritto e in una mostra "L'Appia ritrovata", curata da Irene Zambon, che si inaugurerà il 9 giugno all'Auditorium Parco della Musica di Roma. In un percorso che intende restituire l'Appia, e la memoria, al paese.

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