La Venezia di Hugo Pratt tra locande e campielli a spasso con i “bighelloni”

di Paolo Lughi
«Scarso, Scarso, è pronto lo “sfogio” per Corto Maltese!». Tutti i fan della prima ora di Hugo Pratt conoscono questa battuta dell’«Angelo della finestra d’Oriente», una delle più belle storie “veneziane” del “Maestro di Malamocco”. Nel 2015 saranno 20 anni dalla scomparsa di Pratt, il romanziere a fumetti più grande di tutti, quello che ha inventato con «La ballata del mare salato» (1967) il genere letterario che oggi va di moda chiamato graphic novel. Dal 17 al 20 luglio prossimi Riminicomix gli dedicherà un omaggio. Ma intanto, a Venezia, la trattoria locanda “da Scarso” a Malamocco (Lido) è uno dei posti rimasti tali e quali a come li viveva e disegnava il maestro, per chi volesse ritrovare oggi il suo spirito nella «Laguna dei bei sogni» (dal titolo di un’altra sua celebre storia).
Il grande Hugo è sempre stato considerato uno dei simboli della venezianità, anche se in realtà era nato a Rimini nel 1927, è scomparso a Losanna nel 1995, fu trascinato a dieci anni in Africa dal padre ufficiale dell’esercito fino al 1945, poi è cresciuto artisticamente in Argentina dal 1949 al 1962, e dagli anni ’70 è vissuto sempre più spesso a Parigi e infine in Svizzera, a Losanna. Ma a Venezia, che lui adorava e di cui ha saputo esprimere l’essenza come pochi, Pratt ha vissuto intensamente tutta l’infanzia nella casa di famiglia a San Giovanni e Paolo. E poco distante, in Campo dei Miracoli insieme a un gruppo di amici, ha esordito diciottenne nel 1945 con l’«Asso di Picche», storia di un eroe mascherato con stile e disegni nuovi per l’Italia, ispirati ad autori allora ignoti da noi come Milton Caniff e Will Eisner. Così abbiamo chiesto di raccontarci l’autentico Pratt “veneziano” al suo concittadino Lele Vianello, uno dei più importanti fumettisti italiani (sei libri pubblicati in Francia) e collaboratore storico del maestro.
Quando ha conosciuto Hugo Pratt e come è iniziata la vostra collaborazione?
«L’ho incontrato per la prima volta 40 anni fa, avevo appena finito il servizio militare. Avevamo un’amica in comune che aveva visto i miei disegni e che propose di presentarci. Io ero da sempre appassionato di fumetti e avevo il diploma di disegnatore tecnico. Scoprii che Pratt, mentre facevo la naja, si era nel frattempo trasferito proprio a trecento metri da casa mia, a Malamocco. Quella era la sua base veneziana, perché durante l’anno viveva già in Francia. Hugo si presentò subito da quell’eccentrico che era, convocandomi alle 5 del mattino! Disse che voleva essere sincero, che trovava i miei lavori interessanti e che c’erano delle cose da salvare, e che se fossi andato a Milano avrei trovato lavoro. Infatti andai alla Mondadori, allora a Segrate, e mi pubblicarono cinque storie sulla rivista di fumetti d’autore “Il Mago” diretta da Bepi Zancan. Erano brevi racconti di fantascienza nello stile allora in voga della rivista francese “Métal Hurlant”. Poi, nel 1980, un giorno Pratt mi chiamò e mi chiese di aiutarlo a completare negli ultimi ritocchi una storia, perché era in ritardo. Lui era così, accumulava un sacco di materiale da . produrre e poi magari non riusciva a finirlo in tempo. La storia era “La casa dorata di Samarcanda” e iniziò la nostra collaborazione. Ne assorbii la tecnica e lo stile e cominciai ad aiutarlo nei fondali a pennello delle “strisce”. Oppure lui faceva i tratti e io li rinforzavo. Oggi vivo nello stesso edificio a Malamocco dove Pratt lavorava. L’altro suo grande amico e collaboratore veneziano in quel periodo era Guido Fuga, che invece lo aiutava nelle parti meccaniche: treni, navi, automezzi».
Com’era la vita veneziana di Hugo Pratt?
«A Venezia si perdeva, girava, incontrava il gruppo di amici storici che lui chiamava “i bighelloni di Venezia”, a partire da Alberto Ongaro, Ivo Pavone e Mario Faustinelli che andarono con lui a Buenos Aires, e poi Stelio Fenzo, l’architetto Giorgio Bellavitis ora scomparso, Fuga e il sottoscritto. Lasciando la sua magnifica casa di Losanna affacciata sul lago, tornava di tanto in tanto a incontrare amici e parenti, soprattutto finché era viva la madre che stava al Lido. E con tutti ritrovava il suo dialetto, che lui parlava peraltro anche con la moglie e i figli nati in Argentina. È rimasto sempre veneziano fino in fondo. Anche se, ogni volta che tornava a Venezia, la trovava cambiata, non era più la città sognata della sua infanzia e adolescenza».
È per questo che lei e Guido Fuga avete scritto nel 1997 la guida “Corto Sconto”? Per testimoniare la sua Venezia perduta?
«L’idea era quella, anche se come protagonista della guida, d’accordo con la Rizzoli, alla fine è stato scelto Corto Maltese, per dare una suggestione più sognante al testo. Ma in fondo Corto Maltese era Pratt stesso, quello che lui avrebbe voluto essere. La guida in pratica racconta le passeggiate che facevamo a Venezia con Hugo, ed è stata tradotta in inglese, francese, spagnolo e portoghese. Per dare l’idea del successo, ho visto un giorno scritto su un camper al Lido il motto della guida pubblicato in esergo: “Viagiar descanta, ma chi parte mona torna mona”, che è un vecchio modo di dire veneziano».
E quali sono oggi i luoghi più significativi a Venezia per un “pellegrinaggio prattiano”?
«La trattoria “da Scarso” a Malamocco è rimasta la stessa di quella disegnata nell’”Angelo della finestra d’Oriente”, dove vado ancora a mangiare le polpette se non proprio lo “sfogio”. Anche l’Harry’s Bar è rimasto lo stesso. Poi ci sono dei luoghi che hanno dedicato degli omaggi a Pratt, come il ristorante “Al Graspo de Ua” a Rialto che lui frequentava. Qui, nella sala ora chiamata “Hugo Pratt” grazie a un giovane titolare che non l’aveva conosciuto, vengono organizzati incontri sul fumetto veneziano. Anche all’interno dell’Hotel Sofitel Papadopoli, a piazzale Roma, a cui Pratt aveva donato un bellissimo ritratto del suo marinaio gentiluomo, c’è un “Campiello Corto Maltese”. E poi importante è il fatto che sia stata dedicata a Hugo Pratt la biblioteca comunale al Lido di Venezia, a Malamocco, inaugurata l’anno scorso e che tuttora espone due pannelli di miei disegni ispirati a lui. Pratt, che avrebbe trovato patetica una targa sulla sua casa, sarebbe stato contento del suo nome associato a una biblioteca, ai libri. Lui ha dato tantissimo al fumetto svelandone le potenzialità narrative. Non è stato solo un fumettista, è stato un intellettuale, un grande artista».
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