La Venezia di Calimani dai fasti al declino delle oligarchie



Venezia galleggia tra il mare aperto e le onde, scriveva il cronachista Giovanni Diacono nella sua Istoria Veneticorum. L’autore della più antica storia della città lagunare, che risale ai primi anni dopo il Mille, evocava con questa immagine tutta la stabile impermanenza nella quale è racchiuso il destino di Venezia. Una facciata bellissima, come quelle dei palazzi sul Canal Grande, che poggia su un fondale fragile. Una città in precario equilibrio sui pali conficcati nella laguna, eppure vitalissima nel moto perpetuo delle navi su e giù per il ‘suo’ Adriatico, nei commerci, nell’arte, nella diplomazia, nella capacità di darsi un sistema elettorale diabolicamente virtuoso.

Il destino di avere il proprio nome scritto sull’acqua è stata al tempo stesso gloria e dannazione della Repubblica. Il rosso acceso dei tramonti d’oriente in cui affonda la punta della Dogana, apparso in tanti quadri dei maestri del colore, attirava come un magnete le galee verso il mare aperto e prometteva cotone filato delle Indie, borace di Persia, zenzero del Malabar, canfora del Borneo e tutta la mercanzia che arrivava da Levante e che da Venezia proseguiva poi per le altre capitali europee. Ma quel viaggiare perenne guardando oltre la Giudecca senza pensare alle spalle, alla pianura, alle città costiere dell’Adriatico, veneziane sì, perché governate dalla legge di San Marco, dai suoi amministratori civili e militari, ma senza mai essere state federate e accolte a pieno titolo nello stato, era stato il vulnus che avrebbe contribuito al progressivo disfacimento della repubblica. Che comunque visse una vita lunghissima e felice e fu l’unico stato italiano preunitario che, se ne avesse avuto l’ambizione, avrebbe potuto essere il motore dell’unità d’Italia secoli prima dei Savoia.

L’orgoglio per la propria storia, per il nome delle grandi famiglie che hanno dato i dogi più importanti, i Dandolo, i Gradenigo, Grimani, i veneziani lo esibiscono ancora, come nel saluto con i remi alzati con cui i gondolieri festeggiavano Marco Paolini alla fine del suo spettacolo dedicato alla Serenissima. Un vanto che trova conferma nelle ben 32 pagine fitte di bibliografia su Venezia che Riccardo Calimani ha aggiunto alla fine della sua “Storia della Repubblica di Venezia” (Mondadori, pagg. 723, euro 40), monografia che va ora ad aggiungersi a una così nutrita schiera. L’autore, veneziano, che alla sua città ha dedicato altre opere come la Storia del ghetto, ripercorre con lucida passione la straordinaria parabola storico-politica di Venezia, dai primi insediamenti in epoca preromana alla colonizzazione delle isole lagunari a opera di fuggiaschi alla ricerca di salvezza da guerre e invasioni, dalla leggendaria nascita della repubblica nell’Alto medioevo ai fasti della dignità imperiale fino alla lenta ma inesorabile decadenza. Un declino dovuto anche al progressivo inaridimento dello spirito imprenditoriale della classe mercantile e all’immobilismo di una oligarchia sempre più miope e retriva, che condannarono Venezia alla capitolazione sotto la spinta delle armate di Napoleone.

Calimani, raccontando eventi, personaggi e aneddoti di una città internazionale, che faceva del pragmatismo la sua bandiera, in cui lo straniero era bene accetto se l’ordine cittadino non veniva turbato, percorsa da feste, giochi e processioni, racconta il mito di una città unica che continua ad alimentarsi di immagini e suggestioni. —



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