La sposa costretta a ingrassare è il “gavage” della Mauritania

Stasera all’Ariston la regista Michela Occhipinti accompagna il suo film: «Una pratica antica ci fa riflettere sulle torture che ci autoinfliggiamo»

TRIESTE Dieci pasti al giorno, dall’alba a notte fonda, un’alimentazione forzata per ingrassare anche decine di chili in poche settimane: è il “gavage”, una pratica tradizionale in Mauritania e una vera e propria tortura alla quale vengono sottoposte molte ragazzine per apparire floride al momento del matrimonio. Un tema quasi sconosciuto in Occidente e raccontato dal bellissimo film di Michela Occhipinti “Il corpo della sposa”, già passato al Festival di Berlino, che la regista presenterà questa sera alle 20.30 al Cinema Ariston di Trieste. Sebbene si tratti di un film di fiction, la storia della protagonista Verida è ispirata alle tante storie vere che la regista, esperta documentarista, ha raccolto in Mauritania: quelle di giovani donne che, per prepararsi al matrimonio combinato dai genitori, vengono letteralmente messe all’ingrasso dalle loro stesse madri per dimostrare il benessere economico della famiglia. Una tradizione antica, ma che ancora viene praticata anche nelle moderne città della Mauritania, dove le donne lavorano, studiano, usano internet e possono divorziare con facilità. Pur essendo ambientato in un paese africano, il film colpisce sul vivo un argomento universale: le piccole grandi torture che da sempre le donne di tutto il mondo autoinfliggono al loro corpo per corrispondere ai canoni di bellezza imposti dalla società.

Occhipinti, da dove parte l’idea di un film sul “gavage”?

«Da un trafiletto che ho letto su questa pratica estrema. Mi ha dato la chiave per un film che, in realtà, parte da me stessa, quando ho visto le mie prime rughe: ho riflettuto sul perché una parte del nostro corpo ci crea disagio. In quel caso si trattava dell’invecchiamento, ma poteva essere il sovrappeso, o un naso che non piace. Mi sono chiesta chi detta le regole dei canoni estetici. Il “corpo ideale” che cerchiamo è ideale per chi? Per il mercato, per l’uomo, per la moda?».

Però sono le donne stesse, spesso, a volersi cambiare per sentirsi più belle…

«Tentiamo di modificare il nostro corpo non per stare meglio con noi stesse, ma sempre per un’imposizione: se non fossimo bombardate dai modelli dei media, e ora anche dei social network, forse non lo faremmo. In Mauritania la donna per piacere deve apparire più florida, ma la forma finale non importa: più magra, più abbondante, nera, bianca o con pezzi del corpo modificati, quello che ci accomuna è il percorso di violenza e di tortura che ci infliggiamo».

Il “gavage” è una pratica ancora diffusa?

«Nel 2012 sono andata in Mauritania e ho scoperto che lo fanno soprattutto nei villaggi del deserto, ma succede anche in città. Volevamo che il film avesse un’ambientazione urbana, altrimenti lo spettatore avrebbe pensato che è solo una questione tribale che non lo riguarda. Invece è una questione sociale».

L’attrice che interpreta Verida ha vissuto una storia simile?

«Verida, il suo nome anche nella realtà, ha fatto il gavage a 16 anni, si è sposata, poi a ha divorziato e si è risposata. Nel film i suoi genitori sono interpretati dai suoi zii, la sorellina è davvero sua sorella. La storia assomiglia alla sua vita, ma lei non interpreta se stessa. In Mauritania ho parlato con ragazze, nonne, mamme e ho raccolto le loro esperienze. Per quello è diventato un film, non un documentario: avevo bisogno di mostrare anche donne mauritane che non praticano il gavage, altrimenti avrei raccontato una realtà parziale». —
 

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