La seconda vita di Ettore Majorana come signor Bini

Tre giornalisti sulle tracce del fisico scomparso lo “ritrovano” in Argentina e Venezuela
Di Mary B. Tolusso

di MARY B. TOLUSSO

Sciascia ci ha costruito un libro. Gianni Amelio un film: "I ragazzi di via Panisperna". In realtà il mistero che continua a circondare la figura del grande fisico Ettore Majorana, pare la messa in scena di un altro capolavoro italiano: Il fu Mattia Pascal. Come lui Majorana scompare, per farsi, con molta probabilità, un'altra vita. Il 25 marzo del 1938 lascia due lettere, una ai familiari, l'altra ad Antonio Carrelli, amico e collega dell'Università di Napoli. In entrambe le lettere allude, ambiguamente, a una fuga che sa più di suicidio. L'ultima traccia del geniale fisico corrisponde alla sua imbarcazione in un piroscafo diretto a Palermo. Poi: il buio. Il corpo però non è mai stato ritrovato, ed è ben strano perché quello di Napoli è un golfo che restituisce sempre le sue vittime. Certo le ipotesi che seguirono - a proposito di un'altra vita dello scienziato - non si potevano basare solo su questo. Le teorie di una vera e propria fuga sono emerse da varie segnalazioni, contraddizioni, ipotesi sostenute da testimonianze, come quella di un suo probabile ritiro in convento, assecondata da Sciascia nel suo libro e dal professore di Fisica dell'Università di Catania Erasmo Recami, che di Ettore pubblicò vari documenti.

A quasi ottant'anni dalla scomparsa ciclicamente emergono nuove congetture, più o meno credibili, più o meno fantasiose. In questi ultimi anni però "La seconda vita di Majorana" (Chiarelettere Editore, pag. 186, euro 16,90), a firma dei tre giornalisti Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini è diventata quasi una certezza. La svolta è stata la testimonianza di Francesco Fasani, un emigrato che si fece avanti alla trasmissione tv "Chi l'ha visto?" (2008) per raccontare la sua probabile amicizia con il fisico in Venezuela. Testimonianza plausibile, tanto da far aprire al procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani, un'inchiesta penale. Nel corso degli interrogatori Fasani si presenta come uomo equilibrato, placido e affidabile e c'è una prova: una fotografia che lo ritrae con Majorana, in una piazza di Valencia, il 6 giugno 1955. Un falso? No. Il Ris ha accertato l'autenticità della foto ingiallita e dell'inchiostro datato e soprattutto che quell'uomo a fianco di Fasani, di quasi cinquant'anni, ha una piena compatibilità ereditaria nel confronto con i ritratti del padre Fabio e del fratello Luciano Majorana. In breve: c'è una perfetta sovrapponibilità dei singoli particolari anatomici. Quello è senz'altro Majorana. «Solo che io lo conoscevo come signor Bini», dice il testimone. Francesco Fasani mente? Chi è? Come ha conosciuto il signor Bini-Majorana?

A queste domande rispondono i tre autori del libro e per farlo hanno scelto di compilare la loro inchiesta direttamente in America Latina, stanando luoghi, amici, soprattutto interpellando gli eredi, figli e pronipoti di tre personaggi chiave di questa storia. Il primo è Ciro Grasso, l'uomo che presentò Majorana a Francesco Fasani a bordo del piroscafo che dall'Argentina li porterà in Venezuela. Poi l'ingegnere Nardin e il signor Carlo. Solo che, attenzione, Fasani non ricorda più i cognomi di questi individui e saranno i nostri autori a recuperarne la totale identità raggiungendo vecchi archivi, tormentando i consolati di Caracas, Valencia e poi incrociando i dati con altre informazioni recuperate nei siti e nei forum delle famiglie emigrate. Tanto che l'ingegner Nardin corrisponderà a Leonardo Cuzzi, tecnico originario di Udine con cui Bini-Majorana intrattiene rapporti lavorativi, Cuzzi si occupa appunto di centrali energetiche. Mentre il signor Carlo non è altro che Carlo Venturi, imprenditore facoltoso, con tutta probabilità conosciuto da Majorana nei club esclusivi per italiani, molto vicini all'alloggio argentino del fisico e dove lo stesso frequentò le sorelle Cometta Manzoni, sì proprio le discendenti del famoso scrittore, oltre all'ingegnere Magliotti. In questa nuova inchiesta la faccenda si approfondisce anche dal punto di vista ideologico, con un Majorana impegnato in faccende politiche insieme all'amico Magliotti, che fu poi fatto fuori dalla polizia di Peròn, da cui, per molti, la fuga di Majorana e Venturi in Venezuela. Ma altre testimonianze e analisi incrociate confermano invece che non fu la politica a farli fuggire, bensì gli affari.

E qui si aprono gli ultimi e più affascinanti capitoli del caso. Ci sono prove concrete in possesso di Fasani, che di mestiere faceva il meccanico e spesso sistemava la macchina dello scienziato, piena di carte con calcoli e formule. Fasani ammette anche di aver preso dall'auto una cartolina, recuperata e portata come prova. Una cartolina che non doveva trovarsi in Venezuela, bensì nell'epistolario italiano essendo una corrispondenza tra Ettore e lo zio Quirino. E poi altri testimoni oculari che non hanno dubbi sul riconoscimento di quel viso, «nonostante facesse vita ritirata», dice il barbiere di San Raffael. A fine inchiesta tutto condurrà a Los Teques, dove ha sede l'Istituto Venezuelano di Ricerca Scientifica, il cui fiore all'occhiello, proprio in quegli anni, era l'ideazione del primo reattore nucleare. Spuntano i nomi di fisici prestigiosi come Morán, amico di Fermi, maestro di Majorana. I capitoli ci riservano coincidenze che hanno tutta l'aria di non esserlo, come per esempio il fatto che Leonardo Cuzzi, una volta giunto in Venezuela, non si registra a Caracas né a Valencia, dove vive, ma nella sperduta landa di Los Teques. E sappiamo che Majorana con lui ha intrattenuto stretti rapporti lavorativi. Anzi, pare proprio chiaro che i due siano stati impegnati in progetti governativi per Marcos Pérez Jmenéz. Un libro avvincente perché tutte le informazioni fornite dal testimone Fasani, che per molti erano fandonie, trovano nel viaggio dei tre giornalisti un'adeguata risposta: nessuna invenzione, nessuna mitomania. Pare proprio che Majorana, alias signor Bini, abbia voluto andarsene dall'Italia e trovato oltreoceano l'oblio che cercava, anche se, quell'unico scatto fotografico a Valencia, ha svelato tanti misteri. I tre autori sono riusciti a individuarne anche la casa, a San Augustin, intervistando gli ultra ottuagenari che ricordavano il viso, ma più ancora la sua Studebaker gialla, una macchina che è difficile dimenticare. E ricordavano l'amico Fasani, che da quella stessa auto trafugò alcuni documenti, tra cui un'agenda scomparsa nel nulla. Un'agenda ricca di formule, con chissà quali scoperte. Ed è nella scienza quindi - non più nella vita - che si mantiene il suo mistero.

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