La radio segreta di Fausta Cialente diario di guerra di una femminista
Fausta Cialente. A distanza di pochi mesi due libri riaccendono l’attenzione su questa scrittrice riservata, che trascorse l’infanzia nella Trieste asburgica (sua madre era triestina) e visse la sua lunga esistenza – è morta in Inghilterra nel 1994, novantaseienne – quasi sottotraccia, nonostante avesse collaborato a giornali e riviste, pubblicato diversi libri e manifestato una militanza politica senza tentennamenti, da donna libera.
Donzelli ha da poco dato alle stampe “Radio Cairo” (pagg. 244, Euro 25,00), il diario, curato da Maria Serena Palieri, degli anni dal 1941 al 1947 che videro la Cialente occuparsi della propaganda antifascista dai microfoni dell’emittente controllata dagli inglesi che trasmetteva dalla capitale egiziana; mentre per il prossimo settembre è attesa, per i tipi de La Tartaruga, la riedizione delle “Quattro ragazze Wieselberger” (pagg. 260, euro 18,00), il suo libro più famoso, che racconta in forma di mémoir una saga familiare a cavallo tra i due secoli nella Trieste irredentista. Il libro, vincitore del premio Strega nel 1976, si rivelò un vero bestseller raggiungendo le 200 mila copie vendute. Un successo travolgente da attribuire anche a quel gusto particolare che offriva un libro femminile e femminista, che legava i ricordi intimi, a cui si cominciava a tornare dopo gli anni comunitari post Sessantotto, con la figura forte, di una donna politicamente schierata, che aveva dato il suo contributo alla Resistenza e non aveva esitato a fare scelte coraggiose nella vita privata. Come la fuga, così definita dalla stessa Cialente, dalla famiglia, che la portò a sposare a Fiume nel 1921 un ricco e colto agente di cambio di origine ebraica e a trasferirsi ad Alessandria d’Egitto. Ma come fu che un’emigrata di lusso, che passava i giorni tra soirèe all’opera o a teatro, musica in casa e ville sul Nilo, iniziò a lavorare per gli inglesi? La giornalista Maria Serena Palieri, che per un trentennio ha lavorato all’Unità, è entrata in quel paradiso per filologi che è il Centro manoscritti “Maria Corti” dell’Università di Pavia e ha preso in mano i nove quaderni, oltre millesettecento pagine, che compongono il diario di guerra della Cialente. Che, detto per inciso, anni dopo l’autrice si pentì di avere conservato, “perché le guerre”, scrisse, “sono inferno e gli uomini in guerra sono infernali e non sempre eroi”.
Di origine ebraica come il marito e di notoria avversione al fascismo, all’entrata in guerra dell’Italia le venne chiesto di collaborare con l’attività di propaganda radiofonica degli Alleati. La radio era allora lo strumento di comunicazione più potente, le varie intelligence erano ben consce della sua importanza nella guerra non convenzionale, quella affidata a propaganda e informazione e gli inglesi avevano messo in piedi dal Cairo una emittente che trasmetteva in italiano e raggiungeva l’altra sponda del Mediterraneo. Il ruolo della Cialente andò oltre quello di una semplice collaboratrice. Le pagine del diario ricostruiscono come a poco a poco avesse ampliato i suoi incarichi: da caporedattrice ad editorialista fino ad inviata in Palestina in missione segreta per fondare altre radio di guerra. Nel diario compaiono nomi di altri italiani impegnati nel comitato di coordinamento della propaganda; c’è ad esempio Renato Mieli, che diventerà il primo direttore dell’Ansa, comunista come la Cialente, che per questa sua militanza era vista con sospetto dagli inglesi.
La sua attività di antifascista aveva altri crucci. Uno su tutti, l’amatissimo fratello Renato, famoso attore di teatro e cinema, compagno di vita e di scena di Elsa Merlini, stimatissimo da Pirandello e De Sica, che lei temeva potesse subire delle ritorsioni a causa del suo impegno. E alla sua morte, travolto da un camion tedesco a Roma, scrisse sul diario pagine di grande intensità.
Finita la guerra, la Cialente fece ritorno in Italia dove fece la giornalista e la scrittrice fino al grande successo delle “Quattro ragazze Wieselberger”. È con felice intuizione che ora La Tartaruga ripubblica questo lungo viaggio della memoria in un mondo, quello della Trieste di inizio Novecento, che è stato non solo formativo, ma che ha costituito il luogo fisico e mentale, il nocciolo insostituibile intorno al quale la Cialente ha ancorato la propria vita errabonda. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo