La Pfm canta De Andrè, quarant’anni dopo: «Era una luce nel buio, non trova eredi»
TRIESTE «Ai concerti troviamo diciottenni che sono pazzi per Fabrizio e non è strano, perché quando sei ragazzo hai tante domande da porre al mondo e a te stesso e nei suoi brani trovi sempre una risposta, se sai ascoltare, cercare tra le righe». È Patrick Djivas, co-fondatore degli Area e bassista della Pfm dal 1973, a raccontare lo spettacolo “Pfm canta De André Anniversary”, domani alle 21 al Politeama Rossetti: a vent’anni dalla scomparsa del cantautore genovese e a quarant’anni dall’uscita di “Fabrizio De André e Pfm in concerto” un tour che rende omaggio a quello straordinario sodalizio.
Djivas, al Rossetti, come in molti altri teatri, i biglietti sono esauriti da tempo.
«Sicuramente fa piacere, ma la più grande soddisfazione è il calore del pubblico: quello è un sold out emotivo».
Il tour con De André nel ’79 fece tappa anche a Trieste.
«Poi non ci siamo passati spesso, ricordo che l’ultima volta abbiamo suonato nella vostra meravigliosa Piazza Unità».
Dal 2015 in formazione c’è un triestino, Alberto Bravin (voce e tastiere).
«Al Rossetti lo sentirete cantare “Zirichiltaggia” in sardo».
Che altro vedremo?
«Uno spettacolo diviso in tre parti. Si comincia con pezzi molto famosi, “Bocca di Rosa”, “La guerra di Piero”, “Un giudice”. La seconda parte è dedicata a “La buona novella”, album a cui avevamo partecipato come session man di Fabrizio nel ’70 e che poi nel 2010, per omaggiare quello che sarebbe stato il suo settantesimo compleanno, avevamo riarrangiato. E nella terza parte, i pezzi da novanta, le cannonate: “La canzone di Marinella”, “Amico Fragile”... Due ore che passano molto veloci, si arriva alla fine pensando “ma come, è già finito?”».
Sul palco, oltre a lei, il fondatore Franz Di Cioccio (voce e batteria) e il citato Bravin?
«Siamo in nove, in questo tour sono ospiti Flavio Premoli, ex tastierista Pfm che aveva suonato nel periodo con De André e Michele Ascolese, chitarrista di Faber, che suona la classica».
Come avete lavorato ai pezzi?
«Gli arrangiamenti sono molto rispettati, abbiamo cercato di fare tutto con grande rigore ma senza rigidità».
Il primo incontro con De André?
«Era molto chiuso in se stesso, abbiamo comunque instaurato un rapporto di fiducia. Nel ’79 abbiamo riarrangiato il suo repertorio ed era soddisfatto».
Un ricordo del tour del ’79?
«A Napoli c’è stata una specie di guerra civile, era il periodo della contestazione e degli autonomi e la gente venne sotto al Palazzo dello Sport a bruciare le macchine. Non sapevi mai come andava a finire un concerto. Eravamo bloccati in camerino, c’era anche Dori Ghezzi e io e Fabrizio abbiamo litigato pesantemente. Dopo un po’ lui ha preso il suo quaderno e ha scritto una poesia che parla proprio della situazione che c’era fuori e dell’atmosfera che si respirava, poi ci ha messo la dedica “a Patrick” e me l’ha data in segno di pace. Succedeva spesso».
Non esiste un nuovo Faber. Come mai?
«Ci sono degli artisti che hanno una tale impronta che difficilmente hanno eredi, sono dei fari, luci che si accendono nel buio. Avvicinarsi alla sua perizia e alla sua bravura non è semplice. Il testo deve essere musicale, devono esserci dei contenuti, è importante anche il modo in cui dici le cose. Fabrizio con una frase riusciva a darti una decina di concetti sui quali potevi passare un pomeriggio a ragionare. A tavola ogni tanto ci raccontava un suo testo, dalla prima riga ti spiegava perché aveva scritto quelle parole. “Questa di Marinella è la storia vera”: su una frase poteva parlare un’ora. Era incredibile come tutto avesse un motivo, era pieno di riferimenti culturali, storici, aveva in testa un libro di 600 pagine e riusciva a tradurlo in poche parole in rima che arrivassero a tutti».
In estate riprendete il vostro “The very best tour”?
«Il 30 finiamo la tournée di De André (faremo altre 15 date in inverno) e il 31 parte l’altro tour. In mezzo, il 29 luglio, saremo all’Arena di Verona con Cristiano De André».
A settembre, a Londra, avete vinto il “Prog Music Award”.
«La cosa bellissima è che non fosse un riconoscimento alla carriera, ma il premio come band internazionale dell’anno, ci ha fatto molto piacere. Abbiamo sempre cercato di essere contemporanei».
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