La natura di Segantini, madre e matrigna

A Palazzo Reale di Milano in mostra 120 opere del pittore. L’ultima, mai uscita dalla Svizzera, visibile solo in proiezione
Di Franca Marri

MILANO. Lo sfondo è quasi interamente bianco, di un bianco denso, intenso, quasi mistico, che investe il cielo, il paesaggio innevato, i tetti delle case e della chiesa. In primo piano il ceppo di legno dalle radici contorte racconta di una vita sofferta, tormentata, quale possiamo immaginare essere quella della donna che stancamente, curva su se stessa, lo trascina sulla slitta, dirigendosi finalmente verso casa, sul far della sera.

Anche la vita di Giovanni Segantini, autore di questo dipinto intitolato Ritorno dal bosco, non fu facile né priva di sofferenze. Nato ad Arco nel 1858, perde entrambi i genitori quando era ancora bambino; affidato alla sorellastra Irene, operaia a Milano, che non ha tempo di curarsene, finirà in riformatorio per "ozio e vagabondaggio". Dopo tre anni uscirà e verrà accolto dal fratellastro Napoleone nella sua bottega fotografica a Borgo Valsugana. Poco dopo decide di tornare a Milano per iniziare a studiare pittura. Frequenta prima i corsi serali poi quelli regolari dell'Accademia di Brera dove ottiene i primi premi e importanti riconoscimenti. Fa amicizia con i pittori Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Emilio Longoni e con il gallerista Vittore Grubicy il quale intuisce il suo talento e decide di appoggiarlo. Insieme a Bice, con cui trascorrerà tutta la sua vita in "unione libera", si trasferisce in Brianza. A Milano tornerà per brevi soggiorni, preferendo abitare in un primo tempo a Savognino, il paese dei Grigioni che appare in lontananza nel dipinto Ritorno dal bosco, e quindi ancora più in alto, a 1800 metri, a Maloja in Alta Engadina, dove affitta lo chalet Kuoni e dove verrà colto da un attacco di peritonite, mentre stava dipingendo, morendo a soli 41 anni.

La sua vicenda biografica e artistica è ora ripercorsa in una grande retrospettiva ospitata a Palazzo Reale di Milano, curata da Annie-Paule Quinsac, tra i massimi esperti del pittore, insieme a Diana Segantini, pronipote dell'artista.

Sono esposte le prime opere milanesi caratterizzate dai forti contrasti chiaroscurali, densi di materia cromatica, con cui inquadra preziosi scorci dei navigli o realizza Il coro della chiesa di Sant'Antonio acquistato nel 1879 per 500 lire dalla Società per le Belle Arti; quindi i ritratti e gli autoritratti, alcuni dei quali potentissimi, in cui è già possibile cogliere il passaggio dal naturalismo a divisionismo. E poi le nature morte e i dipinti dedicati alla natura e alla vita dei campi dove alla scomposizione del tessuto pittorico in filamenti luminosi si associa un simbolismo di derivazione panteista, in parte influenzato da Millet. Si giunge così ai capolavori quali Alla stanga, Ave Maria a trasbordo, Mezzogiorno sulle Alpi, Le due madri.

Sarà proprio il tema della maternità, inteso come rapporto tra uomo e natura, nella considerazione della natura come madre e matrigna, a ispirare le sue composizioni insieme più complesse e più alte.

Nel segno del proprio trascorso personale ma anche nella suggestione delle fonti letterarie, Segantini interpreta il tema in forma assolutamente originale, ricorrendo alla tecnica divisionista per accendere di una luce pura, cristallina, una natura intrisa di spiritualità, colmando di una tenerezza infinita le "buone madri", laddove dipinge le "cattive madri" con forte, sconvolgente sensualità.

Vita, amore, morte sono alla base di queste riflessioni pittoriche come del suo mirabile Trittico della Natura, ultima fatica dell'artista, mai uscito dalla Svizzera dov'è conservato e perciò presente in mostra solo in proiezione.

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